Le verità nascoste de “La favorita”

Contestazioni alla regia, ma buona esecuzione musicale e vocale per il ritorno sulle scene del Teatro Municipale di Piacenza dell’opera di Donizetti.

di Alessandro Mormile

Il Municipale di Piacenza, sotto la vigile guida di Cristina Ferrari, è fra i teatri d’opera della provincia italiana più attenti a metter insieme una programmazione dove la scelta dei titoli è sempre accompagnata da una ricerca molto oculata dei cast, tale da rendere anche la stagione di quest’anno assai attrattiva. Ma La favorita di Donizetti, andata in scena nel nuovo allestimento firmato dalla regia di Andrea Cigni, che si vedrà anche al Teatro Regio di Parma, non è opera facile da mettere in scena, così come da eseguire. A farne le spese è stato soprattutto lo spettacolo di Cigni, contestato duramente dal pubblico al termine di una serata che, anche sul piano vocale, è parsa inferiore alle attese. Leggendo le note di regia, apprendiamo che quello che si sarebbe visto sul palco, con scene di Dario Gessati e ricercati costumi di Tommaso Lagattolla, intende offrire l’idea spaziale – scrive il regista – di un teatro anatomico, “luogo dove si ‘esaminano’ profondamente (fisicamente) gli individui e che qui vorremmo riproporre come ‘analisi’ e disamina dei sentimenti, delle viscere affettive dei personaggi, del loro essere veri sotto una pelle (rappresentata dal costume) che solo quando viene tolta li lascia sinceramente esprimere ciò che sentono, provano, vivono mostrandoci i loro sentimenti, la loro sofferenza, la loro angoscia, il loro amore, la loro verità”.

Scelta davvero bizzarra, che ha reso ancora più difficile la comprensione di un’opera già  drammaturgicamente farraginosa, che altro non chiederebbe se non una lettura scenica-registica dove gli autori dello spettacolo sappiano predisporsi a mettersi al servizio del libretto invece di ostacolarne la comprensibilità. Cigni, in altre occasioni, si era dimostrato uomo di teatro attento e anche ispirato; in questa occasione si è invece imbrigliato in una ragnatela narrativa concettosa e poco comprensibile, nella quale è rimasto lui stesso vittima ricercando quelle “verità nascoste” che hanno reso la sua idea di spettacolo confusa e pretenziosa. 

Sul piano musicale, invece, questa Favorita piacentina ha mostrato nella meditata bacchetta di Matteo Beltrami, alla guida dell’Orchestra Filarmonica Italiana e del buon Coro del Teatro Municipale di Piacenza istruito da Corrado Casati, una direzione di compatta e intrigante tenuta drammatica, tersa nella ricerca di un suono quanto più possibile morbido e conciso nella scelta di tempi ora rapidi e scattanti, altre volte delicati nel sostenere l’involo melodico delle pagine più belle. Così avviene quando lo si ascolta accompagnare con eleganza il legato delle melodie di Alfonso XI, alle quali viene donato il rilievo dovuto al velluto vocale di Simone Piazzola, che per timbro e morbidezza di suono sembrerebbe ricalcare l’immagine dell’autentico baritono grand seigneur, se non fosse che l’interprete appare distaccato e l’emissione gli crea qualche sporadico slittamento di suono.  

Attenta, all’opposto, a scolpire ogni frase è la Leonora del mezzosoprano Anna Maria Chiuri, per la quale, una volta ammirate l’indubbia pastosità dei centri e il fraseggio accurato e rifinito fin nei minimi dettagli (la sua grande aria “O mio Fernando” lo attesta), si deve annotare una non totale adesione alle pieghe belcantistiche, per le quali si richiederebbe una vocalità più levigata. Tuttavia, in virtù della musicalità e dello spiccato temperamento scenico, Chiuri vince la sfida di un ruolo risolto da vera artista nel cogliere l’essenza espressiva del personaggio, di donna che si sacrifica per amore ed è vittima di un destino che le è ostile; e lo fa anche se si trova alle prese con una parte nella sostanza vocale lontana dal repertorio oggi da lei più comunemente frequentato.

Interlocutoria anche la prova di Celso Albelo (Fernando), che invece dovrebbe giocare in casa con la vocalità del tenore romantico alla Gilbert Duprez, mentre in questa occasione è apparso in serata fuori forma. Così, a prevalere sono state le emissioni nasali (per altro già tipiche della vocalità di questo valente tenore), ma anche una evidente fatica in suoni apparsi talvolta spinti (anche se qua e là è riuscito ad assestare buoni acuti, compreso il do di “È spenta”, sul quale cala il sipario nel finale dell’opera), piano piano affinatisi nel corso della serata e resi più rotondi, fino ad un’aria dell’ultimo atto, “Spirto gentil”, eseguita bene, ma senza quella consapevolezza stilistica del canto ottocentesco alla quale il tenore delle Canarie ci aveva abituati.

Voce dal registro grave sonora e piena quella di Simon Lim, ottimo Baldassarre, che completava, insieme alle buone prove di  Andrea Galli (Don Gasparo) e di Renata Campanella (Ines), la locandina di questa Favorita piacentina, che il pubblico ha accolto con applausi generosi, fino al momento in cui, come si è detto, l’ingresso sul palcoscenico degli autori dello spettacolo per la passerella degli applausi conclusivi ha scatenato un vero pandemonio di contestazioni.  

Foto Cravedi
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