Francia, crisi della politica e astensionismo nelle urne

Il ballottaggio delle recenti regionali francesi ha avuto un solo vincitore: l’astensionismo. Due elettori su tre, per la seconda volta consecutiva, incuranti degli appelli al voto dopo la prima tornata hanno nuovamente disertato le urne. Una disaffezione mai registrata nella Quinta repubblica che scuote a fondo l’intera classe politica, ponendo un serio interrogativo sul funzionamento stesso delle istituzioni rappresentative.

E’ certo che alle presidenziali del 2022 l’affluenza aumenterà notevolmente: la scelta del Capo dello Stato, con la sua personalizzazione molto spinta, riesce infatti a ridestrare l’interesse dei cittadini. Ciò però non toglie che nella politica francese qualcosa si è guastato. Si può pensare che il sistema maggioritario, praticato in tutte le contese elettorali, che concede un premio sproporzionato ai vincitori ed esclude le forze minori dalle assemblee regionali e dal Parlamento, sia tra le cause di questa generale disaffezione degli elettori. Una ridotta offerta in termini di partiti politici in grado di ottenere dei rappresentanti allontana molta gente dal voto.

Introdurre qualche dose di proporzionale, senza ovviamente immaginare che sia la panacea di ogni male, potrebbe anche essere un pista di riflessione. Questo modello elettorale esalta la rappresentatività del Parlamento facendo in modo che ciascuno possa trovare riscontro nella forza politica che più gli si attaglia. I problemi semmai verranno dopo, riguardo alla stabilità di governo. Ma questo è un altro discorso.

A proposito della forte astensione va poi considerato che le Regioni non sono ritenute molto importanti. I poteri di cui dispongono: formazione professionale, trasporti e poco altro non rendono molto attrattiva la scelta per uno o per l’altro dei contendenti. La recente riforma che ha ridotto a tredici le ventidue regioni originarie con accorpamenti innaturali – ad esempio l’Aquitania con la Vandea e via discorrendo – ha contribuito a far sentire ancora più distante dai cittadini questa istituzione. Di certo siamo di fronte ad una questione su cui la politica, al di là degli schieramenti, dovrà riflettere a fondo, immaginando qualche soluzione. Si assiste infatti ad una repulsione verso tutta la politica in blocco che lascia intravedere nulla di buono per il futuro.

Messo da parte l’astensionismo siderale di questa tornata elettorale, veniamo adesso a parlare dei risultati. Su tredici regioni, sette sono andate alla destra moderata, cinque ai socialisti ed una, la Corsica, come sempre, ai nazionalisti. Chi pensava che il confronto destra-sinistra fosse consegnato al passato è servito. Chi credeva che liberal-gollisti e socialisti fossero relitti della storia è altrettanto servito.

Le due classiche formazioni che da decenni si dividono la scena pubblica transalpina sono tornate in auge. Un esito legato alle solida rete di sindaci ed amministratori locali di cui dispongono i due partiti tradizionali. Proprio quello che manca sia al Rassemblement nazionale di Marine Le Pen sia, in misura ancora maggiore, ai repubblicani in marcia di Emmanuel Macron. L’estrema destra viene poi penalizzata dal patto repubblicano che scatta in qualsiasi ballottaggio dove la sinistra, se esclusa, appoggia la destra moderata e quest’ultima, sebbene con minor slancio, sostiene i socialisti se questi sono in lizza contro un candidato nazionalista. Per i Repubblicani in marcia il discorso è ancora diverso. Lì tutto ruota attorno alla Macron per sostenerne le ambizioni presidenziali, mentre manca quasi del tutto quel radicamento territoriale decisivo in qualunque contesa locale o regionale.

Questo dunque il quadro che vede al palo le formazioni dei due candidati che, nel 2017, giunsero al ballottaggio per l’Eliseo. Ci saranno ripercussioni sulla corsa del 2022? In realtà è quasi impossibile comparare le regionali con le presidenziali. Chiaro però che in casa Rn e Lrem cominci ad insinuarsi qualche inquietudine. I sondaggi continuano a vedere in testa Macron e Le Pen, ma non è detto che tra nove mesi la situazione sia ancora la stessa.

Nel 2016, un anno prima delle ultime presidenziali, nessuno ipotizzava il ritiro del presidente in carica François Hollande (una cosa mai successa prima) e meno che mai, nella destra moderata, si pensava alla vittoria e al clamoroso flop di François Fillon. Nessuno poi aveva intravisto l’ascesa di Macron. Tutto può quindi succedere. Intanto socialisti e liberal-gollisti, in attesa di tempi migliori, si godono il successo alle regionali. Tre candidati di centro-destra: Xavier Bertrand, Valerie Pecresse e Laurenti Wauquiez, sono stati riconfermati alla guida delle rispettive regioni: Nord-Pas de Calais, Alta Senna e Rodano-Alpi. Presto si aprirà la sfida per la candidatura moderata per l’Eliseo e, al solito, cominceranno le divisioni di sempre. Nulla di nuovo nel centro-destra transalpino.

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