60 anni di Amnesty International

Si celebra quest’anno l’anniversario dei 60 anni dalla fondazione di Amnesty International da parte dell’avvocato inglese Peter Benenson, che il 28 maggio 1961 pubblicò un “appello per l’amnistia” sulle colonne del The Observer di Londra. A convincere il legale britannico dell’urgenza di lanciare un appello in difesa dei diritti umani era stato un episodio accaduto nel Portogallo del dittatore Salazar, dove due studenti erano stati incarcerati per aver brindato alla libertà. I due giovani erano stati sbattuti nelle galere del regime semplicemente per aver espresso pacificamente le loro idee e sulla loro incarcerazione era scesa una coltre di silenzio, che Benenson decise di squarciare con il suo articolo “The Forgotten Prisoners”, i prigionieri dimenticati.

Da quella presa di posizione in difesa delle libertà individuali nasce Amnesty International, che in questi sei decenni si è ampliata e diffusa in molti Paesi, sempre cercando di difendere le persone vittime di soprusi, troppo spesso perpetrati dai loro stessi governi. Ancora oggi, sono moltissimi i Paesi nei quali vengono negati ai cittadini i diritti più elementari, quali la libertà di opinione e quella di esprimere la propria appartenenza religiosa o politica.

Il lungo cammino dell’Associazione in tutti questi anni è stato coronato da numerosi successi, anche se purtroppo non sempre le battaglie in difesa dei diritti umani hanno ottenuto gli effetti sperati. In ogni caso, l’intervento di Amnesty è stato determinante per difendere la vita e i diritti di migliaia di persone, tanto che nel 1977 è stata insignita del Nobel per la Pace per la sua attività di “difesa della dignità umana contro la tortura, la violenza e la degradazione”. L’anno successivo è arrivato anche il Premio delle Nazioni Unite per i diritti umani, mentre nel 1991, nel trentesimo anniversario dalla fondazione, Amnesty ha ricevuto il riconoscimento Colombe d’Oro per la Pace da parte dell’Archivio Disarmo di Roma, per la sua azione di contrasto alle violazioni dei diritti umani perpetrate nella cosiddetta Prima Guerra del Golfo.

Premi prestigiosi, ma sicuramente il riconoscimento più grande è la consapevolezza di sapere che tantissime persone hanno riacquistato libertà e diritti grazie all’azione di supporto e tutela di Amnesty, o meglio delle migliaia di attivisti che si spendono per dare una mano a chi viene ingiustamente perseguitato, per il solo fatto di non condividere le politiche del proprio regime, di non professare la religione dominante, di avere la pelle di colore diverso, ovvero semplicemente di chi ha la sfortuna di essere nato nel posto sbagliato.

Il simbolo dell’associazione, una candela accesa avvolta nel filo spinato, rappresenta in modo duplice la speranza di porre fine alle ingiustizie e la volontà di fare luce sulle violazioni, portandole a conoscenza dell’opinione pubblica e tenendo fede al motto che recita “è meglio accendere una candela che maledire l’oscurità”.

Oggi, Amnesty International è presente in 140 paesi con oltre due milioni di aderenti. La sezione italiana può contare su centinaia di soci distribuiti in 173 gruppi territoriali, sostenuti da migliaia di donatori. Nel corso degli anni, ha partecipato a decine di campagne di sensibilizzazione e denuncia, spesso in collaborazione con altre associazioni, ottenendo importanti successi, come nel caso della messa al bando delle munizioni a grappolo, armi micidiali che mietevano migliaia di vittime, per la maggior parte fra la popolazione civile, spesso bambini.

Attualmente, vi sono una dozzina di campagne in corso, fra le quali la richiesta di verità e giustizia per la morte di Giulio Regeni; l’appello per la liberazione di Patrick Zaki, incarcerato in Egitto sulla base di accuse infondate; il contrasto degli “odiatori” su internet; l’attenzione all’impatto dei cambiamenti climatici sui diritti umani; l’azione in difesa dei diritti dei migranti e molto altro.

Pare che nonostante sessanta anni di impegno il lavoro da fare sia ancora molto. Per questo, l’azione dei sostenitori e degli attivisti di Amnesty continua con costanza e dedizione, perché come ricordano sul sito dell’associazione, “ogni ingiustizia ci riguarda personalmente”, ovunque essa venga perpetrata.

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