Cile: un’assemblea costituente per cancellare il modello economico di Pinochet

In Cile è stata eletta un’Assemblea costituente per riscrivere la Carta costituzionale. Tra i suoi 155 membri spicca una forte presenza di esponenti non legati ai partiti tradizionali, bensì provenienti dal mondo dell’ambientalismo e del volontariato. Metà dei costituenti sono donne – un vero record per una realtà notoriamente maschilista come quella cilena – e 17 seggi sono stati riservati alla popolazione autoctona, da sempre emarginata dal resto della società.

L’elezione di questa Assemblea è il frutto di un referendum, che si è svolto lo scorso ottobre 2020, chiedendo ai cittadini se ritenevano necessario cambiare la Costituzione. Qualora, come in effetti è successo, la maggioranza dei votanti avesse espresso questa volontà, si prevedeva, come passo successivo, il voto, con sistema proporzionale, di un’assise specificatamente dotata di poteri costituenti. Quella, per l’appunto, votata in queste settimane.

Ma cosa ha indotto questa spinta al cambiamento, espressa per lo più dalla società civile a fronte di una classe politica – tanto a destra quanto a sinistra – alquanto riluttante nell’imbarcarsi in un modifica costituzionale. Il fatto è che la suprema Carta cilena in alcuni suoi principi, in particolare quelli economico-sociali, risente ancora delle logiche mercantili degli anni di Augusto Pinochet. Il generale, che nel 1973 orchestrò il golpe contro il legittimo presidente Salvador Allende, oltre che instaurare una ferrea dittatura puntò, in economia, su un modello ultraliberista. Vennero così privatizzate la sanità e le pensioni, nonché liberalizzato il mercato del lavoro e un po’ tutto il sistema economico del Paese.

La Costituzione approvata nel 1990 alla fine della dittatura, in un’epoca nella quale i militari erano però ancora molto influenti, assegna quindi una forte priorità al mercato, non ponendo limiti all’iniziativa privata e mantenendo intatto l’impianto liberista del sistema sanitario e di quello previdenziale. A giusto titolo può dirsi che la suprema Carta cilena sia l’opposto della nostra Costituzione che, come ben sappiamo, è intrisa invece di una cultura fondata sulla persona umana e sui suoi diritti, cui tutto, a cominciare dagli assetti economici, deve essere subordinato. Da correggere – sebbene questo non abbia particolare rilievo sul modello sociale – anche alcuni aspetti del regime presidenziale, sia rafforzando ol potere legislativo e di controllo del Parlamento sia attribuendo un’effettiva indipendenza alla magistratura, oggi ampiamente subordinata al Governo.

Dopo anni nei quali pareva impossibile qualsiasi modifica costituzionale per non urtare il conservatorismo della casta militare, è sorto un movimento della società civile che puntando il dito sulle forti disuguaglianze sociali ha in pratica costretto la classe politica a mettere in agenda il referendum sull’eventuale riforma della Costituzione. Nell’Assemblea costituente appena eletta le forze politiche tradizionali hanno raccolto meno di quanto si aspettassero: la sinistra, immancabilmente divisa tra radicali e riformisti, si attesta sul 30 per cento, mentre la destra, per quanto compatta, raggiunge a stento il 20.

La riscrittura della Costituzione passerà quindi da un confronto, che si spera costruttivo, tra la politica classica e un composito mondo slegato dai classici partiti. C’è un anno di tempo per redigere la nuova Carta che avrà sicuramente un maggior respiro sociale e di tutela dei beni pubblici di quella attuale. Siamo dunque di fronte ad un’inedita sperimentazione politica, basata su un’innegabile spinta popolare, che può cambiare i connotati delle istituzioni cilene, cancellando gli ultimi residui del passato golpista. Difficile fare previsioni sul testo che sortirà dai lavori costituenti, evidente però che si tratti di un percorso da seguire con molto interesse.

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