2  giugno, gli anticorpi della Repubblica

Forse chi ha lottato per un’Italia democratica e repubblicana mai avrebbe potuto pensare che dopo tre quarti di secolo la Repubblica si sarebbe trovata nella peggior crisi della sua storia. Il due giugno 1946 si elesse anche l’Assemblea Costituente per redigere la Costituzione.

Se riusciamo adesso, dopo i terribili 15 mesi di pandemia e dopo il durissimo decennio di austerità autoimposta che la ha preceduta, a intravvedere una via d’uscita lo dobbiamo in gran parte proprio al lavoro inscalfibile dei padri costituenti che 75 anni fa ricevettero il loro mandato.

È grazie agli ideali e alle concezioni giuridiche, sociali, antropologiche e ontologiche a cui essi si ispirarono, che la Costituzione contiene le risposte per far fronte alle molteplici crisi in corso.

Proprio mentre abbiamo dovuto affrontare ogni tipo di restrizioni dei diritti fondamentali e delle libertà per motivazioni sanitarie – che col tempo si sono mostrate sempre più opinabili – abbiamo sperimentato la solidità delle garanzie ai cittadini dell’impianto costituzionale.

La Repubblica Italiana infatti esprime una concezione temperata dello stato. Lo stato non è originario e onnipotente, esso viene collocato agli antipodi dell’assolutismo hegeliano e delle sue terribili realizzazioni storiche. Lo stato viene dopo la società civile. Il diritto naturale, la persona, la famiglia e tutti i corpi intermedi preesistono all’autorità statale, che li “riconosce” e li coordina in armonia e in modo sussidiario, dunque discreto e non invasivo, sempre attento a non invadere ambiti che non gli spettano. E meno che mai propenso a invertire l’onere della prova in materia di libertà, di giustizia , di sanità, di fisco o di quant’altro. È sempre bene ricordare che nel nostro ordinamento giuridico e costituzionale non esiste l’idea che tutti sono considerati trasgressori, colpevoli, malati o evasori fino a prova contraria da esibire a loro discolpa. Nessuno deve giustificare le proprie libertà, dimostrare di non esser colpevole o di non essere malato o di non essere evasore. Sono gli organi dello stato, in un solido quadro di garanzie, che nel caso devono farlo.

Una concezione che trova solenne e suprema espressione nell’articolo 2 della Costituzione: “ La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità …”.

In quel verbo “riconoscere” c’è tutta la differenza fra la nostra Repubblica democratica e i regimi totalitari. Per il grande filosofo e giurista Giuseppe Capograssi che fu tra i maggiori ispiratori di questa concezione dello stato, ciò che contava nella Costituzione era la seguente domanda: In essa “c’è questo senso di rispetto della vita in tutte le sue forme concrete, del libero muoversi e realizzarsi della varia, incredibilmente varia, natura umana?”. Sì c’è, è codificato al massimo grado. Nessuno e per nessun motivo può disporre dei diritti inalienabili della persona umana e delle società naturali che essa forma. Questa costituisce la pietra angolare su cui edificare il ritorno alla normalità post covid. Ciò che è successo con lo stato di emergenza rappresenta una situazione di fatto e con inderogabili limiti temporali, che ha potuto imporsi solo perché accettata dalla maggioranza delle persone e non in ragione del diritto. No, la Costituzione non dà ragione a Carl Schmitt. In essa sono presenti gli anticorpi per impedire il disegno che ciclicamente riemerge nella storia, di consegnare la sovranità a chi provoca lo stato d’eccezione.

È proprio grazie ai principi fondamentali in essa enunciati che stiamo sconfiggendo il disegno di chi pensa di poter aggirare gli “intralci” costituzionali, infondendo terrore senza fine per realizzare un modello di governo che abbia le caratteristiche gradite ai santuari del capitalismo della sorveglianza, che hanno come modello la Cina comunista e come scopo quello di soddisfare gli appetiti delle corporations-stato globali.

Dal lavoro dei costituenti troviamo anche la via con cui affrontare la crisi dell’Europa, impantanata da anni nelle sabbie mobili di un mercantilismo che fa aumentare, anziché ridurre, le divergenze fra gli stati membri. La misura di tutto è la sacralità della persona umana, con ciò che ne deriva in termini di diritti e di socialità, non cervellotiche regole di bilancio. E la pari dignità, in una, per fortuna, inesauribile diversità dei popoli che la compongono. Se l’Europa intera si ricorderà delle sue origini post belliche, e in essa la nostra Repubblica saprà recuperare lo spirito di libertà che ha circondato la sua nascita, allora potremo guardare con un certo ottimismo sia alla conclusione definitiva dell’emergenza sanitaria che alla ripresa di un vero cammino costituente europeo.

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