I municipi come base della democrazia

Quante volte ci siamo detti che il cambiamento può avvenire solo se innescato dal basso? Tantissime, ma spesso non siamo riusciti a concretizzare questa buona idea. Lo ripetiamo nei nostri articoli, nei convegni, ma poi non riusciamo a mettere in pratica quello che professiamo.

La nostra storia culturale e politica è piena di buoni esempi di elaborazione politica dal basso, cioè con la partecipazione popolare attiva, a partire dall’impegno dei nostri padri politici a favore delle autonomie locali. Nelle sezioni locali e nei municipi si formavano infatti le classi dirigenti.

Già nel primo decennio del ‘900, don Carlo De Cardona scriveva: “il Municipio è del popolo; è fatto per gli interessi del popolo e non per la propaganda delle idee repubblicane o socialiste o cattoliche. Questo è il punto fondamentale: nel Municipio devono essere trattati, studiati, discussi gli interessi del popolo, diciamo di tutti i cittadini, qualunque sia la loro fede, e il loro modo di pensare”.

L’elezione diretta del sindaco facilità tale interesse generale? Nei fatti direi di no. Il mito della stabilità, seppur importante, svilisce il senso di comunità, facendo emergere le differenze tra i candidati, più che tra i diversi programmi per il futuro dei nostri Comuni. Nell’appello ai “liberi e forti” del 18/01/1919, si legge chiaramente quella che sarà la visione del partito popolare:

“Ad uno Stato accentratore tendente a limitare e regolare ogni potere organico e ogni attività civica e individuale, vogliamo sul terreno costituzionale sostituire uno Stato veramente popolare, che riconosca i limiti della sua attività, che rispetti i nuclei e gli organismi naturali – la famiglia, le classi, i Comuni – che rispetti la personalità individuale e incoraggi le iniziative private”.

Don Luigi Sturzo nel 1923 metteva in risalto le differenze con il fascismo: “la concezione popolare affida lo sviluppo locale alle energie locali; la concezione fascista lo fa discendere dall’alto dello stato, unico centro di propulsione. Noi ne combattiamo il centralismo, noi riconosciamo che è necessaria la semplificazione nelle sue funzioni”.

Sia nell’appello che nell’articolo citato, emerge l’idea politica circa la centralità della persona umana, che esprime i propri talenti negli organismi a lui prossimi e che per essere “liberi”, necessitano dell’autonomia di funzione rispetto allo Stato centrale.

Nel 1931 con la lettera Enciclica “Quadragesimo Anno”, Papa Pio XI afferma: “Come è illecito togliere agli individui ciò che essi possono compiere con le forze e l’industria propria per affidarlo alla comunità, così è ingiusto rimettere a una maggiore e più alta società quello che nelle minori e inferiori comunità si può fare.”

Ancora più netto è Luigi Einaudi che ne “L’Italia e il secondo Risorgimento», il 17 luglio 1944 scriveva:

“Lo Stato lasciamolo riformarsi dal basso, come è sua natura. Riconosciamo che nessun vincolo dura e nessuna unità è salda se prima gli uomini i quali si conoscono ad uno ad uno non hanno costituito il comune; e di qui, risalendo di grado in grado, sino allo Stato. La distruzione della sovrastruttura napoleonica, che gli italiani non hanno amato mai, offre l’occasione unica di ricostruire lo Stato partendo dalle unità che tutti conosciamo e amiamo e che sono la famiglia, il comune, il territorio dove si vive e i suoi usi e costumi”.

Stessa visione politica la ritroviamo in Alcide De Gasperi nella sua relazione del 23 luglio 1944 in un’assemblea della Democrazia Cristiana:

“Il comune che raccoglie le famiglie del territorio, in cui c’è la torre che ricorda un passato, un campanile che indica il cielo, delle libere istituzioni le quali vengono dai padri e rappresentano il patrimonio della nostra storia italiana, il comune deve rimanere la base della futura democrazia. Questa unità territoriale è tanto più necessaria perché l’esperimento che essa ha fatto e tutt’altro che negativo. Quando il fascismo ha voluto cominciare a distruggere il tessuto delle nostre libertà, ha iniziato il suo attacco ai comuni perché la’ nei consigli comunali anche nei più piccoli che il popolo impara a reggersi”.

Luigi Sturzo, in “Politica di questi anni”, 1950-51, torna su autonomie locali e cittadinanza attiva:

“La nostra aspirazione è quella che le energie locali possano bene e ordinatamente sviluppare e consolidarsi, non contro uno stato unitario, ma entro lo stato e garantite dallo stato“;

“La provincia autonoma e il comune autonomo, in un coordinamento di poteri e di limiti, devono creare finalmente il cittadino autonomo”.

Questo breve excursus storico del pensiero centrista, dei nostri padri politici, lo ritroviamo nell’articolo 5 della Costituzione:

“La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento”

e nell’articolo 5 comma 3 del trattato sull’unione europea:

“In virtù del principio di sussidiarietà, nei settori che non sono di sua competenza esclusiva l’Unione interviene soltanto se e in quanto gli obiettivi dell’azione prevista non possono essere conseguiti in misura sufficiente dagli Stati membri, né a livello centrale né a livello regionale e locale, ma possono, a motivo della portata o degli effetti dell’azione in questione, essere conseguiti meglio a livello di Unione”.

Come si può notare da questo breve “viaggio” nel tempo, l’impegno dei centristi per le autonomie locali viene da lontano.

L’impegno civico, che non vuol dire privo di valori o riferimenti ideali, non vuol dire civismo ideologico, bensì vuol dire impegno dal basso per una vera partecipazione popolare non telecomandata dall’alto, dove ogni essere umano può mettere in condivisione le proprie competenze per il bene comune.

Le prossime elezioni comunali di autunno vedranno impegnate molte amiche ed amici, che meritano il nostro sostegno, il nostro supporto, specie se impegnati nel portare avanti la nostra idea di municipalismo fuori dallo schema populisti contro sovranisti.

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