Pisapia e “i cattolici”

A leggere certi volantini e messaggi web che circolano a Milano in questi giorni c’è di che essere costernati al pensiero di che cosa si è ridotto ad essere il cattolicesimo politico nella testa di certuni. La sequela di insulti, insinuazioni, e vere e proprie menzogne rispetto ai programmi del candidato Sindaco del centrosinistra Giuliano Pisapia , dipinto addirittura come l’Anticristo, come colui che vorrebbe costruire a Milano la moschea più grande d’ Europa, legalizzare la droga, fare del capoluogo lombardo la shangri-la dei gay e dei rom…
Insomma, è come se l’area CL/Compagnia delle opere, accusata dai vertici del PDL lombardo di scarso impegno al primo turno nel sostegno a Letizia Moratti dovesse recuperare ad ogni costo attraverso un forcing mediatico e propagandistico desti nato soprattutto a impressionare e possibilmente spingere alle urne la componente meno colta e informata dell’elettorato, sensibile a questo tipo di messaggi terroristici ed infondati. Con il che, si sarebbe portati a compiangere la buonanima di don Luigi Giussani che si ritrova, a sei anni dalla sua morte, ad avere discepoli tanto mediocri e culturalmente disonesti da ricorrere a mezzucci del genere per difendere le proprie cospicue rendite di posizione.
Dopodiché, seguendo quanto giustamente scritto su queste pagine da Gianni Bottalico e Fabio Pizzul, è fuori discussione che un qualche tipo di ragionamento su che cosa significhi la presenza dei credenti in una città come Milano alla vigilia di una possibile elezione di Pisapia alla guida di Palazzo Marino sia da fare. Ma questo ragionamento deve essere svolto in base a ciò che Pisapia è, non su quello che fa comodo attribuirgli, tenendo conto che comunque, pur con i suoi accresciuti poteri e con l’indubbio prestigio che deriva dall’ elezione diretta, un Sindaco non è completamente svincolato dal consenso del Consiglio comunale, e il partito più vicino a Pisapia, Sinistra ecologia e libertà, non è andato oltre il 4.5% dei voti.
Sul “radicalismo” dell’avvocato milanese si è detto molto, ma il problema vero è di capire se questo ha a che vedere con i bisogni dei cittadini, perché da tutte le analisi condotte in questi anni, e da ultimo anche dal documento predisposto da diverse associazioni cattoliche piuttosto che dal testo programmatico delle ACLI milanesi, emerge con chiarezza come di Milano ce ne sia più d’una, e che ad ognuna di esse bisogna saper parlare. Il punto è: parlare per mettere gli uni contro gli altri ovvero per cercare di trovare vie d’uscita comuni da una crisi che ferisce tutti, ma in particolare i più deboli?
Ecco, questo mi sembra il senso della richiesta di valorizzare la presenza dell’associazionismo e del volontariato cattolico nella gestione della Milano del futuro, perché se questo tipo di problemi a destra viene affrontato in termini di elemosina o di clientelismo “operosamente” organizzato, esiste una vasta e non sempre loquace realtà di base che non cerca posti di potere ma che nello stesso tempo non ritiene di trovarsi in una condizione di minorità politica, anche se forse la politica l’ha frequentata poco in questi anni e, per conseguenza, la sua rappresentanza pubblica non è al livello cui potrebbe essere. Ma ciò attiene ad una serie di questioni di carattere storico e culturale che non è qui il caso di affrontare.
Un solo accenno però merita di essere svolto: un lettore di questo sito ha commentato l’articolo di Bottalico facendo riferimento alla nota emessa dal Vescovo di Trieste mons. Giampaolo Crepaldi in vista delle elezioni del capoluogo giuliano, anch’esso andato al ballottaggio. In quel testo venivano ribaditi i cosiddetti principi non negoziabili, fra cui la vita, la famiglia, la libertà educativa. C’ è anche l’esigenza dell’”aiuto solidale ai poveri” ma, per carità, “in modo sussidiario”, ossia “evitando sprechi ed assistenzialismo”. Verrebbe da dire: tutto qui? Naturalmente sono problemi reali, anche importanti, ma su di essi qualsiasi Consiglio comunale non ha alcun potere concreto. Semmai nei Consigli comunali si parla di Piani territoriali, di assetti societari, di gestione degli enti pubblici: tutte questioni che hanno un preciso sostrato etico su cui la coscienza credente avrebbe qualcosa da dire, anche se magari al Vescovo di Trieste, e a tanti suoi confratelli, non risulta.
Ecco, la testimonianza di molti credenti, a Milano ed altrove, è proprio questa, ossia la possibilità di evadere dalle risposte preconfezionate e disincarnate e di vivere i loro principi nella concretezza della quotidianità, senza preoccupazioni di potere.

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