Competenza, popolarismo e politica attuale

Sul “Corriere della Sera” di domenica 29 novembre è apparso una interessante quanto disarmante risposta di Aldo Cazzullo ad una considerazione sulla distanza tra grande classe dirigente del dopo guerra e gli attuali politici, dal titolo significativo “De Gasperi oggi sarebbe stato uno straniero in patria”. Riassuntivo è un passaggio fulminante: “in sintesi. L’Italia di oggi è un paese in cui la cultura è diventata un disvalore e l’ignoranza una virtù”. L’aver assunto a regola il passaggio diretto dal bar dello sport al parlamento, tanto bistrattato negli ultimi anni da mettere in crisi la democrazia italiana stessa con leggi elettorali sempre peggiori e riduzioni di rappresentanza popolare, e il mero marketing elettorale egocentrico è il segnale evidente di questa decadenza in cui chiunque si sente in grado di fare politica confondendola, purtroppo, quando va bene, o con la mera amministrazione dell’esistente o con l’attività di lobbing, (diventata sempre più invasiva soprattutto dopo l’incosciente cancellazione del finanziamento pubblico dell’attività politica).

E’ evidente che si può aprire il duplice discorso dell’incompetenza e del populismo, che non è estraneo né al campo sovranista né a quello progressista che, dal punto di vista di una presenza politica di cattolici corrispondono l’uno alla parte cristianista, (che sobilla i così detti cattolici della morale) l’altro a quella radicale (che mantiene in assetto di scontro i cattolici del sociale) cioè contemporaneamente poco coerenti con una visione sociale cristianamente ispirata perché rappresentano una sorta di fronti alleati (esistono perché si odiano, odiano perché esistono, esistono perché son diventati ideologici), significativamente convergenti sull’ostracismo assoluto verso la tradizione popolare e democratico cristiana, che esiste solo se centrista ed autonoma e che li ha tenuti a bada per decenni, impedendo nel contempo, un po’sussumendole, un po’ respingendole, la loro penetrazione come un veleno nelle comunità ecclesiali.

Se analizziamo i due fronti con attenzione ritroviamo un perverso intreccio di ideologia, clericalismo, laicismo, idolatria: per questo è fondamentale superarli mettendosi all’opposizione dello stato delle cose cioè tornando ad un pensiero che ritrovi il bandolo di un nuovo, e non “rinnovato” perché la nostalgia dei fasti passati non è utile, protagonismo. Ma è a questo punto che sorge un dubbio nell’analisi. La strada sembra condurre, all’apparenza correttamente, alla competenza.

Occorre però capire bene cosa si intenda con ciò. Già su questo dal punto di vista della tradizione popolare radicata nell’idea democratico cristiana, occorre fare una grande attenzione: possiamo riprendere ad esempio il “Decalogo del buon politico” di don Luigi Sturzo o “Le idee ricostruttive” di De Gasperi o il pensiero di Giorgio La Pira per comprendere che la buona politica non si riassume nella mera amministrazione, il politico deve avere una visione, dettare la direzione, individuare la strada delle politiche nei vari campi ma la competenza specifica, settoriale, appartiene ai tecnici che devono trovare i meccanismi realizzativi.

Questa idea “tecnica” schiacciata sul contingente, su un presente costante, è molto esaltata in particolare da formazioni politiche prive di una identità valoriale anche in linea con l’antipolitica costruita in un quarto di secolo dall’alta borghesia con l’operazione della “casta”. Molti cattolici sono ottimi tecnici che in molti casi sembrano un po’ trovarsi bene nella dimensione di “cattolici consulenti” che vanno a servizio presso l’uno o l’altro dei fronti citati in piena aderenza allo schema della seconda repubblica di cui stiamo assistendo ai colpi di coda (e che ha avuto nell’attacco al centro e nel suicidio della sua dirigenza un elemento fondante).

Appare molto più interessante e meno a rischio di incomprensione, più che di competenza, allora, parlare di virtù andando a riprendere Emmanuel Mounier che ebbe a sostenere che la più grande per un politico fosse la visione d’insieme. Insomma un buon politico, andando controcorrente a quello che oggi si pensa, non è né mera tecnica né mero metodo. Una classe dirigente, in particolare se si ha la pazienza e la perseveranza di rimettersi a costruirne una nuova riaprendo il dialogo con i giovani per trasmettere un testimone, quindi, deve essere formata attraverso il salutare intreccio di virtù e pensiero senza il quale non appare proprio possibile ingaggiare una vera battaglia contro l’esculturazione del cristianesimo da ogni dimensione sociale, economica, politica salvo consulenze ed accademismi teorici. Perché, dunque, tanto innamoramento per l’idea della competenza sic et simpliciter? Se si guarda al mondo degli ex democristiani che in tanti anni si sono divisi da una parte o dall’altra, e hanno assunto una molteplicità di posizioni tattiche, molto spesso moralistiche, il sospetto è che si faccia riferimento solo più al metodo politico democristiano, tanto richiamato, soprattutto in termini dispregiativi, da tanta stampa ignorante, che rimane, però, totalmente avulso dal pensiero ridotto ad una storia gloriosa da usare come pedigree soprattutto da parte di quella fascia di dirigenza che per età fu protagonista di dilapidazione di un patrimonio politico, scioglimenti, contaminazioni malate, ecc…

Se il discorso della competenza allora riguarda un certo “mestiere”, indubbiamente si può capire meglio la reale portata di un fenomeno attuale, in una politica sbandata, priva di identità, che più che di riflessioni politiche necessita di migliori conoscenze letterarie, in particolare manzoniane, come il XXIX capitolo dei “Promessi Sposi” in cui si descrivono le milizie che attraversarono e saccheggiarono Colico. Il popolarismo, possiamo dire, è proprio altra cosa rispetto a questa decadente fase della politica italiana

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