Un Mes riformato che sa di troika

La riforma del Trattato istitutivo del Meccanismo europeo di stabilità (Mes), che il prossimo Consiglio Europeo vorrebbe ratificare, se cadrà il veto dell’Italia, assume un grande significato, oltre i tecnicismi, sia riguardo all’idea di futuro dell’Europa, sia per la vita concreta dei cittadini.
In tempi non sospetti l’economista, già parlamentare del Pd, Giampaolo Galli aveva indicato cosa comporterebbe per gli italiani la revisione del Mes: “sarebbe una calamità immensa, genererebbe distruzione di risparmio, fallimenti di banche e imprese, disoccupazione di massa e impoverimento della popolazione senza precedenti nel Dopoguerra”. Andrebbe a intaccare la parte della nostra economia che in qualche modo ancora sta resistendo ai fallimenti causa virus, con conseguenze sociali chiaramente immaginabili.

Ancor più preoccupante è la prospettiva di Europa che evoca questa riforma. Con un deficit medio europeo che a causa della pandemia è schizzato a oltre l’8%, con debiti pubblici per lo stesso motivo aumentati oltre le previsioni, la riforma Mes mira a definire uno strumento di intervento preventivo, automatico politicamente insindacabile dagli Stati e meno che mai dal parlamento europeo, atto a far rientrare entrambi i suddetti parametri nei limiti previsti dal Patto di stabilità.

Il vero criterio a cui risponde tale riforma è quello degli interessi tedesco-francesi, convergenti quando si tratta di spolpare l’Italia. Lo ha riconosciuto anche Stefano Folli, il notista politico di Repubblica: “Bisogna pur considerare quali forti interessi attraversano in questo momento l’Europa – in particolare Germania e Francia – esprimendosi a favore della riforma del Mes. (…) la riforma prevede delle procedure per il controllo del debito eccessivo attraverso tagli, riduzione di costi della pubblica amministrazione, privatizzazioni e interventi radicali. Se non basta, potrebbe essere imposta la ristrutturazione”.

Verrebbe, in definitiva, eliminata alla radice la possibilità per gli Stati di accedere al Mes, perché sarebbe il Mes a cercare gli stati quando ritenga che sia opportuno. In un momento di inaudita emergenza come l’attuale, il solo annuncio di una tale prospettiva può generare una spirale depressiva capace di destabilizzare banche e aziende e di gettare nel panico milioni di risparmiatori. Si avrebbero effetti prociclici profondi e garantiti.
Come ha osservato Wolfgang Münchau sul Financial Times, la riforma del Mes serve essenzialmente a “gettare le basi per una ristrutturazione del debito italiano senza dirlo esplicitamente”.
Essa, inoltre, va in direzione contraria a quanto hanno proposto recentemente David Sassoli ed Enrico Letta, per i quali invece i fondi del Mes andrebbero trasferiti alla Commissione come embrione di un debito pubblico europeo.

Non può rassicurare il fatto che il centrodestra si stia posizionando per un voto contrario in parlamento alla riforma del Mes, con l’improvvisa “conversione” di Berlusconi. È del tutto evidente la natura solo tattica di tale posizionamento. Occorre piuttosto che le forze di governo si assumano le loro responsabilità: il rischio concreto infatti è quello di ritrovarsi senza Recovery Fund per la mancanza di unanimità dei 27 alla sua approvazione, ma con un Mes riformato, che sa di troika. L’ostinazione con cui un blocco di Paesi persegue la riaffermazione di un impianto ordoliberista in un momento in cui invece si richiede straordinaria disponibilità di monetizzazione del debito, rischia di divenire la tomba dell’Europa. E i suoi effetti sull’Italia spalancano la porta a eventi che nessuno vorrebbe mai vedere ma che, se si fanno scelte sbagliate, potrebbero essere tutt’altro che remoti.

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