La Giornata Mondiale dei Poveri

Domenica 15 novembre si è celebrata IV Giornata Mondiale dei Poveri; per l’occasione, la Rai 1 ha trasmesso dalla Basilica dei Santi Pietro e Paolo la Messa celebrata da Sua Santità Papa Francesco, fra banchi dimezzati per la nuova emergenza Covid-19.

E’ ancora fresca la sua Enciclica, “Fratelli tutti”, ispirata alla figura di San Francesco: il 13 marzo 2013 è stata emblematica la scelta del Cardinale Jorge Mario Bergoglio, appena eletto al soglio pontificio, di scegliere (primo Papa nella storia) il nome del Poverello di Assisi che, con il suo peregrinare nel nome di Dio, è entrato nel cuore delle persone del suo tempo e di tutti i tempi, rimanendo all’interno del travagliato corpo della Chiesa.

Nella giornata del 3 ottobre scorso, Papa Francesco, dopo il suo arrivo ad Assisi per le celebrazioni in onore del Santo assisiate, è sceso nella cripta della Basilica Inferiore e, sulla tomba del Santo, ha firmato la sua terza Enciclica.

La Giornata Mondiale dei Poveri è stata voluta proprio da Papa Francesco, che ha messo i poveri e la povertà al centro della sua predicazione e del suo pontificato.

Il Messaggio che egli stesso ha scritto per la IV Giornata si intitola “Tendi la tua mano al povero” (Siracide 7,32), si ispira ad un passo del Libro dell’Antico Testamento. E’ stato scritto originariamente in ebraico a Gerusalemme attorno al 180 a.C. da “Gesù (o Giosuè) figlio di Sirach”, poi tradotto in lingua greca dal nipote poco dopo il 132 a.C. E’ anche l’unico testo dell’Antico Testamento del quale è possibile identificare con certezza l’autore. Risulta composto da 51 capitoli con detti di genere sapienziale, sintesi della religione ebraica tradizionale e della sapienza comune del tempo.

Riprendendo il Messaggio del Papa, leggiamo: “La sapienza antica ha posto queste parole come un codice sacro da seguire nella vita. Esse risuonano oggi con tutta la loro carica di significato per aiutare anche noi a concentrare lo sguardo sull’essenziale e superare le barriere dell’indifferenza. La povertà assume sempre volti diversi, che richiedono attenzione ad ogni condizione particolare: in ognuna di queste possiamo incontrare il Signore Gesù, che ha rivelato di essere presente nei suoi fratelli più deboli (Matteo 25,40)”.

Il messaggio prosegue così: “Prendiamo tra le mani il Siracide, uno dei libri dell’Antico Testamento. Qui troviamo le parole di un maestro di saggezza vissuto circa duecento anni prima di Cristo. Egli andava in cerca della sapienza che rende gli uomini migliori e capaci di scrutare a fondo le vicende della vita. Lo faceva in un momento di dura prova per il popolo d’Israele, un tempo di dolore, lutto e miseria a causa del dominio di potenze straniere. Essendo un uomo di grande fede, radicato nelle tradizioni dei padri, il suo primo pensiero fu di rivolgersi a Dio per chiedere a Lui il dono della sapienza. E il Signore non gli fece mancare il suo aiuto.

Fin dalle prime pagine del libro, il Siracide espone i suoi consigli su molte concrete situazioni di vita, e la povertà è una di queste. Egli insiste sul fatto che nel disagio bisogna avere fiducia in Dio: «Non ti smarrire nel tempo della prova. Stai unito a lui senza separartene, perché tu sia esaltato nei tuoi ultimi giorni. Accetta quanto ti capita e sii paziente nelle vicende dolorose, perché l’oro si prova con il fuoco e gli uomini ben accetti nel crogiuolo del dolore. Nelle malattie e nella povertà confida in lui. Affidati a lui ed egli ti aiuterà, raddrizza le tue vie e spera in lui. Voi che temete il Signore, aspettate la sua misericordia e non deviate, per non cadere» (Siracide 2,2-7)”.

Quali e quante sono, oggi, le povertà del mondo e dei suoi abitanti, noi esseri umani?

A proposito di povertà, mi viene in mente la morte di don Roberto Malgesini, ucciso a Como da uno dei deboli e fragili che aiutava quotidianamente. La sua biografia è breve quanto impregnata di una esistenza intensa e spezzata a 51 anni appena compiuti… Roberto nasce a Morbegno il 14 agosto 1969, si diploma ragioniere e lavora per tre anni presso la Banca Popolare di Sondrio. Animatore nella parrocchia di Sant’Ambrogio a Regoledo di Cosio, matura l’idea di entrare in Seminario. Nel 1992 inizia la sua formazione al sacerdozio; diacono nel 1997 a Sondrio, il 13 giugno 1998 è ordinato sacerdote da Monsignor Alessandro Maggiolini, Vescovo di Como. La sua scelta di campo è netta: stare in mezzo agli ultimi. Nel 2008 inizia un’esperienza di servizio verso i più poveri, presso la chiesa di san Rocco a Como, insieme ad un gruppo di volontari. La mattina del 15 settembre 2020, mentre si prepara alla consueta distribuzione di un pasto caldo ai poveri, viene ucciso a coltellate, sotto la casa dove abita in piazza San Rocco a Como, da uno dei migranti che assiste, di origini tunisine. Don Roberto Malgesini è stato un martire sulla strada della povertà e del bisogno nella abbiente città di Como, che si affaccia sulle sponde di un lago frequentato da attori e finanzieri, con le sue splendide ville create dalla nobiltà del XVIII e XIX secolo.

Oggi le povertà sono ovunque e terra di missione sono diventate anche le nostre città, non solo i lontani Paesi del Terzo Mondo. Il Covid-19 sta già aumentando la povertà e le disuguaglianze sociali: è molto concreta la minaccia di chiusura e fallimento per molte imprese e attività; se ciò dovesse accadere (ancor di più dopo la scadenza del blocco ai licenziamenti, oggi fissata al 31 marzo del 2021), è facile immaginare plaghe di disoccupazione e inoccupazione, famiglie con redditi falcidiati, alle quali si dovrà rispondere con un nuovo “Piano Marshall” come avvenne dopo i disastri della Seconda Guerra Mondiale, senza più guardare con la lente di ingrandimento i decimali di un debito pubblico nazionale. A questo proposito è recente la freccia scagliata dal quotidiano “Avvenire” il 15 ottobre scorso, per la cancellazione del debito pubblico contratto durante il periodo Covid-19 (proposta ripresa politicamente dal Presidente U.E. David Sassoli il 15 novembre). Le sperequazioni si vedono anche nei quartieri delle nostre città, eppure ci sembra così lontana la narrazione dei “Ragazzi di vita” fatta con crudo realismo da Pier Paolo Pasolini!

Oltre alle povertà materiali, non dobbiamo dimenticarci delle tante povertà immateriali (ma non per questo meno gravi) che affliggono l’opulento Occidente. Si tratti di disagi a volte impalpabili: l’indifferenza, l’egoismo, la povertà di spirito, per citarne alcune.

L’indifferenza è anch’essa un sentimento, sia pure in negativo, forse il peggiore dei sentimenti. Non ci fa guardare al vicino, ci induce ad abbassare gli occhi a terra quando incontriamo qualcuno, per non correre il rischio di scorgere una sua necessità. Dell’indifferenza lo scrittore polacco Shalom Asch (1880 – 1957), nel testo “La mia fede”, ha scritto: “Chi diventa indifferente ai delitti commessi contro gli altri ha scavato una fossa per se stesso”. Parole profetiche rispetto alla invasione di notizie drammatiche e a volte tragiche dalle quali siamo bersagliati, che provocano prima l’assuefazione e poi un senso di indifferenza verso gli accadimenti locali, nazionali, planetari, chiusi come siamo dentro le nostre case con i televisori perennemente accesi.

E’ famosa l’accusa di Antonio Gramsci verso gli indifferenti.

“Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti. L’indifferenza è il peso morto della storia. L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. È la fatalità; è ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio costruiti; è la materia bruta che strozza l’intelligenza. Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti, avviene perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia promulgare le leggi che solo la rivolta potrà abrogare, lascia salire al potere uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare. Tra l’assenteismo e l’indifferenza poche mani, non sorvegliate da alcun controllo, tessono la tela della vita collettiva, e la massa ignora, perché non se ne preoccupa; e allora sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti, sembra che la storia non sia altro che un enorme fenomeno naturale, un’eruzione, un terremoto del quale rimangono vittime tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente”.

Pur in un mondo globalizzato, nel quale i conflitti sociali si sono pressoché azzerati, queste parole mantengono una loro veridicità e d efficacia.

L’egoismo, indotto anche dal liberismo predatore e selvaggio post novecentesco, vuole avere sempre più beni, fino alla smania di accaparramento, avere tutto per sé. Nell’omelia di oggi il Papa ha invitato a non pensare soltanto agli acquisti e ai regali per il prossimo Natale, occorre chiedersi che cosa possiamo donare di noi agli altri. Felice è la frase scritta da Hugo Von Hofmannsthal (“Il libro degli amici”): “L’egoismo non pecca tanto in azioni quanto d’incomprensione”.

E i poveri di spirito? “Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli” (Matteo 5,3). “Aprendo con queste parole il discorso della montagna, Gesù si ricollega intenzionalmente ai “poveri del Signore” della tradizione biblica, gli anawim, i ‘curvati’, quel ‘resto di Israele’ umile e povero che confidava solo nel Signore Dio (Sofonia 3,12). Questo abbandono fiducioso in Dio si era progressivamente focalizzato nell’attesa della venuta redentrice del Messia, l’Inviato definitivo di Dio, il Cristo “ scriveva Enzo Bianchi nel 2015.

Oggi i poveri in spirito non aspettano più la venuta di Dio, sono quegli ignavi nell’anima per i quali è urgente una nuova catechesi e un nuovo apostolato, proprio nel cuore delle nostre città, per riaccendere nei loro cuori la fiammella della speranza.

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