Sorge, il profeta inascoltato

Ci sono alcune morti che passano per lo più inosservate, anche se sono quelle di personaggi importanti. Ciò può accadere per tanti motivi: la memoria corta di una nazione, il mutare dei tempi, l’incapacità di riconoscere la grandezza di certe persone e così via,… Talvolta, però, la disattenzione può capitare a causa della concomitanza dell’evento con la dipartita di un’altra figura che, in quei momenti, sembra essere stata più significativa e, perciò, maggiormente da ricordare. E’ capitato anche in Italia, agli inizi di novembre, quanto l’attenzione dei mezzi di comunicazione di massa si è concentrata sull’improvvisa scomparsa dell’attore romano Gigi Proietti, considerata un lutto nazionale. Chissà, se fosse ancora vivo Mario Soldati, e se avesse la possibilità di riscrivere uno dei suoi più noti romanzi (Le due città), dove mette in contrapposizione Torino e Roma, ne avrebbe aggiunto un altro capitolo? Avrebbe illustrato alcuni importanti funerali che le hanno più o meno recentemente riguardate, convogliando migliaia di cittadini alle camere ardenti: a Torino per Gianni Agnelli e Norberto Bobbio, a Roma per gli attori Alberto Sordi e Gigi Proietti (in questo caso virtualmente, compatibilmente con le restrizioni a causa del virus)? Specchi, appunto, delle due diverse città.

Conseguentemente, contemporaneamente, sempre agli inizi di novembre, è passata quasi inosservata la morte del gesuita Bartolomeo Sorge, avvenuta nella casa di Gallarate, dove passò i suoi ultimi anni anche il suo confratello torinese, Carlo Maria Martini, il biblista divenuto arcivescovo di Milano. Sarebbe, quindi, interessante chiedere ad un sociologo di spiegare come mai la pubblica attenzione sia stata catalizzata da Proietti ed abbia per lo più ignorato Sorge: specchi diversi di una nazione.

Padre Sorge, famoso direttore della rivista La civiltà cattolica (prima, e di Aggiornamenti sociali, poi); uno degli ispiratori della più famosa lettera pastorale di un arcivescovo torinese, la troppo dimenticata Camminare insieme di padre Pellegrino (che, tra l’altro, rispolverava un principio politicamente dimenticato, la fraternità; chissà se papa Francesco ha mai avuto modo di leggerla?); uno degli organizzatori del primo convegno assembleare della Chiesa italiana: «Evangelizzazione e promozione umana» (Roma, 1976); il probabile successore “in pectore” di papa Luciani a patriarca di Venezia, se il suo pontificato non fosse stato così breve; …

Tutto questo e molto altro di più fu Sorge, ma le mutate vicende della Chiesa italiana (e non solo) lo portarono a lasciare la prestigiosa rivista gesuitica, sembrando costringerlo all’esilio nella Sicilia dei suoi avi, nel 1986. A Palermo, con padre Ennio Pintacuda, fondò l’“Istituto di Formazione Politica Pedro Arrupe” (intitolato al più noto superiore moderno della Compagnia di Gesù), dando vita alla cosiddetta «primavera siciliana» della politica che tante speranze aprì (anche con l’allora giovane Leoluca Orlando), che raccolse molti frutti, ma che non ebbe modo di sbocciare in una fiorente estate, purtroppo. Sarebbe necessario ricostruire quella storia, che aveva le potenzialità per ricomporre la presenza politica dei cattolici in Italia, ma sarebbe una narrazione troppo lunga,… (n.b.: Sorge fu profetico in quanto già a Roma, nel convegno del 1976, ipotizzava la necessità di trovare un modo nuovo per la presenza politica dei cattolici, diverso dalla DC, della quale anticipò la fine; sarebbe perciò utile riprendere il suo libro: «La ricomposizione dell’area cattolica in Italia», pubblicato da Città Nuova nel 1979, anche se oggi, in Italia, i laici cattolici “adulti”, non solo quelli impegnati in politica, sono una razza quasi estinta, forse perché non sufficientemente ibridata,…). L’esperienza della “Rete”, che nacque proprio lì a Palermo, non fu probabilmente quella che lui avrebbe inteso e non lo fu neanche la “Margherita” in cui molti di loro confluirono. Agli inizi del 2000, Sorge teorizzò (perciò?) un’altra necessità, quella di far nascere un’ “area popolare e democratica” (APD) dove confluissero e si confrontassero le migliori forze popolari e democratiche del paese, quando l’epopea berlusconiana sembrava prevalere. Per una serie di circostanze avverse, il progetto non decollò, ma chissà se Prodi, Veltroni ed altri ne trassero ispirazione, quando diedero vita al Partito Democratico? Nel PD le culture progressiste avrebbero dovuto incontrarsi ed amalgamarsi in un’ “area” comune, ma invece -purtroppo- rimasero (rimangono?) distinte come in un miscuglio, anche se formalmente unite in unico partito.

Profeta inascoltato, analogamente ad altri che urlavano nel deserto: come molti di essi sarà ben dopo la morte che verrà riscoperta, e finalmente ricordata, la validità della loro predicazione, speriamo!

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