Don Ernesto Camurati, un parroco e la sua gente nella Resistenza

Nell’autunno del ‘44, fase accesa di guerriglia e controguerriglia tra tedeschi-fascisti e partigiani, si colloca l’eccidio di Villadeati fra le colline del Monferrato. Il fatto tragico divenne, subito, emblema di un contesto aspro di lotta, ma anche di un’irrazionale e sproporzionata sete vendicativa sulla popolazione civile. La ricostruzione della rappresaglia e dell’eccidio, con l’uccisione del parroco don Ernesto Camurati e dei 10 suoi parrocchiani abitanti a Villadeati (il decimo venne ucciso il 24 ottobre da altra rappresaglia), ci permette di cogliere quanto fosse stretto il legame fra clero e popolazione, fra parroci e formazioni partigiane.

Il 9 ottobre un contingente di tedeschi, al comando del maggiore Wilhelm Meyer, comandante la Piazza di Casale ed inserito nel Kommandantur 1014 del colonnello Becker, salì dalla strada di Moncalvo-Odalengo Piccolo verso la località Tribecco. Qui, in due cascine e fra i boschi, da tempo si erano accampati e organizzati i partigiani della Divisione Autonoma Monferrato, alcuni gruppi spontanei.

Li guidavano l’ex capitano dell’esercito Pietra Angelo (detto Pontini) ed il vicecomandante Alberto Dellavalle (detto Giusto), con il commissario di Divisione avv. Carlo Schindler, con il nome di battaglia “ Carlo o Dornero”, di origine genovese.

Quel giorno, un lunedì piovoso d’autunno, alle 8 del mattino, il contingente tedesco iniziò a sparare verso il colle Tribecco; vi erano ventiquattro automezzi militari, dotati di armi leggere e mortai; più di trecento soldati guidati da Meyer ed un tenente delle SS, molti fascisti locali. Non trovarono i partigiani, perché nella notte avevano lasciato la sede, intuendo il rischio dei rastrellamenti. Nel paese restarono solo donne, bambini ed anziani, alcuni agricoltori, ancora impegnati nella fase della post vendemmia. Il Tribecco è uno dei colli più alti del sistema collinare del Monferrato (450 metri sul mare). I tedeschi misero tutto sotto sopra; con i lanciafiamme incendiarono la base dei partigiani. Lungo la strada fra Odalengo Piccolo e Tribecco avevano già incontrato la signora Vanna Baldassarri, vedova di Alfredo Tedeschi (stimato avvocato), proprietaria della cascina di Tribecco affidata ai partigiani. Fu salva solo perché, all’interno della cascina, videro una foto di gerarchi fascisti. La spedizione tedesca si diresse allora verso l’abitato di Villadeati.

Ricostruiamo questi momenti, grazie alla testimonianza della sorella di Don Ernesto Camurati, parroco del paese e ucciso assieme a nove capifamiglia: <<Quel giorno i tedeschi si erano fatti sentire prima in quel di Tribecco – ricordò Valentina Camurati – e poiché non avevano catturato nessuno, piombarono anche a Villadeati. Gli abitanti vennero radunati in piazza. Il comandante tedesco scelse nove tra i capifamiglia. Ad essi venne aggregato mio fratello, Don Ernesto. Aveva appena terminato di celebrare la messa e usciva dalla chiesa. Rubarono carte e documenti in canonica, la chiave del tabernacolo. Fatto il gruppo, un plotone di tedeschi li uccise. Si rifiutò di rivelare i nomi dei parrocchiani partigiani e e il nome del loro comandante. Prima che il mitra spegnesse la voce di Don Camurati si udì per tre volte: “Tutti siamo innocenti. Ma uccidete me solo. Lasciate andare a casa questi che sono capifamiglia”>>.

Qui Meyer minacciò l’uccisione di dieci civili, se entro le ore 12 non fossero stati resi noti i nascondigli dei partigiani. Don Camurati argomentò di non conoscere i nomi dei partigiani; difese la gente di Villadeati, come gente operosa e dedita alla famiglia ed alla pace. Meyer fu irremovibile. Definì “ribelle” anche Don Camurati. Di fronte al gruppo radunato, il maggiore additò uno per uno i predestinati alla fucilazione, compreso don Camurati, seguendo le indicazioni di Ernest, il tedesco-partigiano traditore. Creò un gruppo di persone. Venne poi graziata la signora Baldassarri; il fornaio Vincenzo Gippa ed Edoardo Druetto, vennero salvati per un intervento del generale Botto, pensionato a Villadeati.

Botto era un noto ufficiale dell’Aviazione Regia; partecipò anche alla guerra di Spagna; fu ferito in combattimento; con la RSI venne nominato sottosegretario del Ministero dell’Aviazione; nel ’44 venne congedato e si stabilì a Villadeati. Lo storico casalese Idro Grignolio (1922, militare nell’aviazione) ricorda di aver saputo dalla Baldassarri che Botto chiese a Meyer di salvare i civili catturati a Villadeati; offrì l’amputazione dell’altra gamba in cambio. Ottenne solo la liberazione dei due più giovani. Gippa Luigi (1922), panettiere di Villadeati, è stato un significativo testimone dell’eccidio. Era allora, attendente ed autista del generale Botto. Quando giunsero i tedeschi in paese ed attuarono la perquisizione-rappresaglia, Gippa si trovava in casa di Botto. Il maggiore Meyer entrò, con prepotenza.

Ricordo molto bene ciò che avvenne – ci dice Gippa – Botto invitò il maggiore a non infierire sulla gente inerme, si offrì come ostaggio, offrì il taglio dell’altra gamba. Meyer non volle ascoltare, disprezzò ogni ragione di Botto. Accettò solo la richiesta di salvare mio padre Vincenzo. In quei momenti, non sapevamo che, fra i civili scelti per la fucilazione, vi fosse anche mio zio Clemente Gippa, che venne invece ucciso. Botto tentò ogni modo per scongiurare l’eccidio. Non assistetti alla fine di Meyer. Giunsi in paese, quando la vendetta si era consumata, per opera di un partigiano locale. Ricordo, invece, come nella notte, per curiosità, andai in bicicletta sul lato destro del cimitero, dove mi avevano riferito essere stato sepolto Meyer. Vi giunsi e vidi, dalla terra ancora smossa, spuntare un pezzo di gamba del maggiore. Rimasi scosso e ritornai velocemente a casa”.

Furono attimi tesissimi; alcuni testimoni narrarono che si udirono grida disperate, invocazioni verso i familiari. Il parroco chiese al maggiore Meyer un gesto di umanità e di permettere un ultimo abbraccio. Un sottotenente delle SS lo respinge e lo invitò ad iniziare le preghiere. Don Camurati benedice, apre il breviario e prega. I fucili automatici eseguono l’eccidio. Resta un groviglio di corpi e sangue. Erano le ore 12.

Secondo le testimonianze di alcuni congiunti delle vittime, il maggiore esclamò “Il pastore era duro a morire”. Vennero finiti tutti con una rivoltellata alla nuca. Questo l’elenco delle vittime di Villadeati: Don Ernesto Camurati, anni 46; Caprioglio Angelo, anni 50 e tre figli; Dorato Carlo, anni 44, con un figlio; Dorato Giuseppe, anni 50, due figli; Gippa Clemente, anni 60, due figli; Lanfranco Felice, anni 44, due figli; Odisio Carlo, anni 45; Odisio Luigi, anni 49, quattro figli; Odisio Giuseppe, anni 52; Quarello Luigi Pietro, anni 57 (ucciso il 24 ottobre successivo); Vallone Ernesto, anni 49, quattro figli; Quarello Pietro venne ucciso poi, il 24 ottobre, da repubblichini di Asti, in un successivo rastrellamento. Caprioglio Angelo, d’origine milanese, venne catturato mentre era in cantina impegnato nelle operazioni di vinificazione. Ancor oggi, la signora Carla Rosso, nipote della vittima Dorato Carlo, ricorda con emozione la narrazione che sempre le fece di questa tragedia la mamma Noris Dorato. Dopo l’eccidio, i soldati tedeschi seguiti dai militi repubblichini, risalgono sui camion carichi di bottino e si dirigono verso Murisengo e Cerrina per completare il rastrellamento.

Don Ernesto Camurati era nato a San Salvatore il 17 giugno 1898. Il padre Francesco, reduce dalle campagne in Eritrea di fine secolo, era calzolaio; la madre sarta. Ernesto era primo di sette figli. Dopo le scuole elementari a San Salvatore, frequentò il seminario diocesano a Casale. Benchè chierico, venne chiamato alle armi e fece l’alpino per quasi tre anni. Nel ’25, venne ordinato sacerdote. Per sette anni esercitò a Casale Popolo, poi divenne, dal 1933, parroco a Villadeati.

La zona collinare di Villadeati venne scelta già a marzo 1944 dai partigiani della Monferrato come punto strategico d’insediamento e di osservazione. In località Tribecco, si formò una base operativa. Ai tedeschi ed ai fascisti casalesi erano noti l’attenzione e la fattiva collaborazione di don Camurati verso i partigiani, il suo dissenso pieno verso l’occupazione tedesca ed il ritorno della violenza da parte della R.S.I. Don Ernesto fu promotore, a fine 1943, della costituzione del primo CLN della zona. Nella casa parrocchiale, riunì un nucleo di antifascisti, fra i quali Luigi Quarello di Alfiano Natta, Teodato Lachello e Augusto Giunipero di Villadeati. Per tutto il 1944, fino all’eccidio, fu abile cerniera fra i partigiani e le famiglie contadine.

Don Camurati venne scelto, catturato e ucciso da Meyer volutamente, perchè ritenuto dai comandi tedeschi e dalle SS responsabile di aver sostenuto e alimentato il dissenso rispetto all’occupazione tedesca e alla rinata RSI, di aver promosso e organizzato incontri clandestini fra Moncalvo e Zanco con presenza di antifascisti, ex militari e giovani renitenti ai bandi di chiamata alle armi. Vennero colpiti don Camurati e la sua gente, per colpire la rete creata a sostegno della Resistenza.

La Vita Casalese del 3 maggio 1945 pubblicò il resoconto della Liberazione di Casale e il ruolo dei cattolici e del Vescovo, ospitò un articolo a tutta prima pagina titolato ” L’Italia è tornata libera. La Liberazione della Valle Padana, i nazi-fascisti ovunque disarmati o in fuga, Casale è libera, Nobile discorso di S.E. Mons. Vescovo in Cattedrale.”

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