Dopo il Referendum

Per quanto riguarda le Regionali condivido i commenti generali: il pareggio (3 Regioni al centrodestra, 3 al centro sinistra) rappresenta la tenuta del Governo, il rafforzamento di Zingaretti nel PD, il non sfondamento delle destre (anche se non va sottaciuto che ora 15 Regioni su 20 sono governate da quelle forze), un rallentamento di Salvini come uomo nuovo, il ridimensionamento dei 5 stelle.

Per quanto invece riguarda il Referendum, mi permetto una lettura diversa da quella comune. E’ vero che il taglio secco del numero dei parlamentari è passato con un grosso consenso. Però quel 30% di NO dice qualcosa in più di una semplice sconfitta.

Se nel 2016 Renzi (per certi versi con validi motivi) si attestava il 40% come base per ripartire in una politica di rinnovamento della politica, come base a sostegno di una fase nuova, ora io penso che il 30% possa costituire un appoggio da cui rilanciare quanto si è detto durante la campagna referendaria.

Infatti, quel 40%, si è (con tutte le scomposizioni e ricomposizioni del caso) almeno in parte trasformato nel sostegno alla modifica costituzionale approvata definitivamente domenica. Non è il disegno certamente più organico della Renzi/Boschi; ma ha catalizzato molto di quel 40% nel desiderio di vedere procedere sulla strada delle modifiche che una parte della popolazione ritiene essenziali. Quindi, semplificando, una forte minoranza sconfitta 4 anni fa si è trasformata in maggioranza oggi.

Ecco perché a mio avviso il 30% di domenica può rappresentare lo zoccolo da cui ripartire per tenere insieme e aggregare coloro che desiderano riforme taglio diverso: una legge elettorale rispettosa delle minoranze (tutti sanno che io propendo per il proporziona con le preferenze) e delle periferie; il rilancio del vincolo di mandato per sottrarre ai capi partito le decisioni su tutto e tutti; la necessità di attuare l’art. 49 della Costituzione per dare realmente ai cittadini la possibilità di partecipare alla politica nazionale all’interno di formazioni politiche; la realizzazione di strumenti e organismi di reale partecipazione; un Senato con compiti diversi dalla Camera (e magari rappresentativa delle autonomie); la sfiducia costruttiva; un sistema che ridia ai territori una rappresentanza e la gestione dei servizi di area vasta (in sostituzione delle Provincie) magari accorpando, diminuendone il numero, alcune Regioni.

Il 30% che si è espresso a sostegno del No, pur con uno schieramento formato da tutti o quasi i partiti che invitavano a fare il contrario, dice che esiste nel Paese anche una visione diversa da quella che ha puntato molto sullo slogan del mandare a casa la casta e sul risparmio (per la verità insignificante) da ottenere. Non intendo fare di ogni erba un fascio, perché in entrambi gli schieramenti c’è chi pensa correttamente alla necessità di riforme che hanno difficoltà ad essere realizzate, e chi vuole conservare anche ciò che non risponde più al funzionamento del sistema democratico. Ma rilevo che c’è anche una parte del Paese che ha altre ambizioni e punta su altri obiettivi, rispetto alla semplice guerra ai politici e alla sempre maggiore riduzione della rappresentanza. Di qui, anche molti riformatori sia popolari che liberaldemocratici che progressisti, possono ripartire.

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