Referendum e regionali

Il sì ottiene il 70 per cento, il no il 30. Questo l’esito del referendum sulla riduzione del parlamentari che viene così confermata da una larghissima maggioranza di cittadini. Dalla prossima legislatura avremo dunque un Parlamento composto da un Senato di 200 membri e da un Camera di 400. Un taglio di 345 rappresentanti che porterà il nostro Paese ad avere uno dei più elevati rapporti tra eletti ed elettori. In pratica a palazzo Madama ci sarà un senatore ogni 300mila abitanti e a Montecitorio un deputato ogni 150 mila.

Primo passo dopo la tornata referendaria sarà quello di metter mano ai regolamenti parlamentari e al numero delle commissioni, per allinearli alla futura composizione delle due aule. Si aprirà quindi il tema della riforma elettorale, su cui ci sarà modo di tornare non appena si entrerà nel merito delle proposte. L’ipotesi più accreditata è un ritorno al proporzionale ma, nel centro-destra. Lega e Fratelli d’Italia, spingono per il maggioritario, magari condito dal presidenzialismo.

Altro fronte le regionali. Qui è pareggio tra centro-destra e centro-sinistra. L’alleanza Lega-Fratelli d’Italia-Forza Italia si conferma in Veneto, con il trionfo del leghista Luca Zaia, in Liguria, con la bella prova dell’ex forzista, Giovanni Toti e strappando alla sinistra le Marche con Francesco Acquaroli, di Fratelli d’Italia. Il centro-sinistra rimane in sella in Toscana, con la vittoria di Eugenio Giani, in Campania, con la straordinaria prova di Vincenzo De Luca, anche grazie al supporto di larga parte dell’area moderata ex Dc, e in Puglia con la riconferma di Michele Emiliano contro Raffaele Fitto, già governatore della regione dal 2000 al 2005.

Nessun cappotto, dunque, come era negli auspici di Matteo Salvini e Giorgia Meloni, rispettivamente leader di Lega e Fratelli d’Italia, contando di vincere ovunque, e neppure l’attesa spallata al governo, che anzi esce rafforzato da questa prova, poiché il centro-sinistra, al di là di tutte le divisioni, che comunque permangono, riesce a tenere.

Dalle regionali emerge un centro-destra che dappertutto è riuscito a presentarsi unito e questo, al di là delle differenze interne, è un po’ la sua vera forza. Il centro-sinistra invece soltanto in Liguria ha dato vita all’intesa tra Pd e M5S. Un’intesa, dato il magro risultato ottenuto, neppure apprezzata dagli elettori, sebbene più che parlare di vero e proprio fallimento sarebbe da considerare l’ottima prestazione di Toti, premiato anche per l’impegno profuso nella ricostruzione del ponte di Genova. Per meglio soppesare la validità di una possibile alleanza tra democratici e pentastellati bisognerebbe cioè avere qualche altra controprova, lasciando maturare le cose con i ritmi della politica, necessariamente più lunghi delle tempistiche imposte dalle scadenze elettorali.

Pensando a questa tornata elettorale è bene infine sottolineare la notevole affluenza alle urne, quasi il 54 per cento, nonostante tutti i problemi connessi al Covid. Un dato positivo che, tutto sommato, mostra come nel nostro Paese, anche in condizioni certo più difficili che nell’era pre Covid, la partecipazione al voto rimanga su livelli superiori a quelli di altre nazioni europee.

A caratterizzare l’attuale fase politica è certamente lo scarto che esiste tra un centro-destra alla guida di quindici regioni su venti e, al tempo stesso, collocato all’opposizione. Il Parlamento attuale – in nulla delegittimato dal voto sul taglio dei suoi componenti – riflette, come è ovvio, gli equilibri usciti dalle elezioni politiche e finché ci sarà una maggioranza pronta a sostenere il Governo non è pensabile di andare anticipatamente al voto. Al tempo stesso però la maggioranza giallo-rossa è chiamata a farsi carico di questa situazione, coinvolgendo in modo più massiccio l’opposizione nelle scelte connesse al rilancio economico con i fondi europei. Una logica bipartisan che, senza confondere ruoli e responsabilità, farebbe un gran bene al Paese.

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