La vera riforma è tornare alle preferenze, altro che tagliare i parlamentari

La prima cosa che viene da pensare a proposito del referendum sul taglio dei parlamentari, che si celebra tra oggi e domani, è l’assoluta mancanza di tempismo nella scelta della data del suo svolgimento. Una data che si è fatalmente intrecciata con quella dell’inizio della scuola già alle prese con immani problemi, pochi giorni dopo l’avvio dell’anno scolastico, poiché molte sedi sono usate come seggi. C’è da chiedersi se non fosse più sensato anticipare di una settimana il referendum e far partire il nuovo anno di scuola, appena dopo le votazioni, senza alcuna immediata interruzione.

Sarà stato forse il timore che, votando il 13 settembre, la campagna elettorale sarebbe stata troppo a ridosso dell’estate, tra spiagge ed ombrelloni ambienti certo poco inclini a dibattiti e comizi, fatto sta che ancora una volta le ragioni (si fa per dire) della politica hanno avuto la meglio su qualsiasi altra considerazione. Persino sulle esigenze della scuola, oggi al centro di mille preoccupazioni. E’ come se la politica fosse incapace di cogliere quello che davvero sta a cuore ai cittadini. L’ennesima occasione persa, insomma, per avvicinare eletti ed elettori che, a ben pensarci, sarebbe stata quanto mai propizia, proprio alla vigilia di un referendum, da alcuni vissuto, come il definitivo assalto alla “casta”.

Va peraltro evidenziato come, in questa faccenda referendaria, il buon senso manchi del tutto. In un Paese normale infatti una riforma del genere non sarebbe mai stata fatta e un quesito del genere mai sarebbe stato posto ai cittadini. Siamo di fronte ad un’operazione insensata, figlia di quell’onda di antipolitica cavalcata a gran voce dal M5S, cui va però aggiunto, per onestà, che la politica stessa, con mille e reiterati comportamenti negativi, ha contribuito, in lunghi decenni, ad alimentare.

In ogni modo, eccoci al voto. Ai cittadini viene chiesto di confermare o respingere la riforma costituzionale che riduce i parlamentari. Al Senato si passerebbe da 315 a 200 membri; alla Camera da 630 a 400. Nel suo complesso, il Parlamento dagli attuali 945 componenti scenderebbe a 600. Le motivazioni di questo taglio? Una sola e presto detta: i costi della politica. Eppure facendo due semplici conti balza subito all’occhio che il tanto decantato risparmio finale sarà, al netto di imposte e contributi, di appena 50 milioni l’anno. In pratica, considerata la popolazione italiana, il costo di un caffè per ogni cittadino e questo a fronte di una notevole riduzione della rappresentanza popolare. Oggi alla Camera abbiamo un deputato ogni 100mila abitanti, mentre con la riforma tale rapporto salirebbe a 150mila. Al Senato si passerebbe da 200mila a 300mila abitanti per ogni senatore. Intere regioni, e in particolare, quelle medio-piccole (Umbria, Basilicata, Friuli-Venezia Giulia) vedranno drasticamente ridursi la rappresentanza dei propri territori con effetti anche sul pluralismo politico di quelle aree geografiche.

Siamo al grande paradosso dell’antipolitica: per lottare contro la “casta” che opprime il popolo, finisce per ridurre gli spazi di rappresentanza del popolo stesso. Eppure per battere l’antipolitica, spezzando il circolo vizioso che allontana sempre più i cittadini dalla politica, basterebbe reintrodurre nella legge elettorale le preferenze. Ne occorre almeno una, in circoscrizioni non troppo ampie, per avvicinare eletti ed elettori ed anche, non ultimo, ridurre i costi delle campagne elettorali. Con le preferenze i cittadini torneranno a scegliere i propri rappresentanti invece che dover accettare, a scatola chiusa, le scelte fatte dalle segreterie dei partiti, per lo più in base alla fedeltà al capo che per le effettive capacità e competenze dei candidati.

Adesso si sta pensando di modificare la legge elettorale e sta tornando in auge il proporzionale, senza quote maggioritarie come prevede l’attuale Rosatellum. E’ dunque giunto il momento di dire basta alle liste bloccate e ripristinare le preferenze: questa è la vera riforma da fare, altro che il taglio dei parlamentari.

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