Fare chiarezza sullo stragismo e i suoi mandanti

Da quaranta anni l’orologio è fermo su quell’ora: le 10 e 25, quando la bomba fece saltare la stazione, lasciando sul terreno 85 morti. La vittima più giovane, Angela Fresu, era una bambina di tre anni. Se piazza Fontana fu un po’ la madre dello stragismo, tra depistaggi e impunità, quella di Bologna, per la sua immane portata, fu, di certo, la più feroce, giungendo ad oscurare i molti altri fatti di sangue che da Portella delle Ginestre in Sicilia nel 1947 sino a piazza della Loggia nel 1974 a Brescia, hanno drammaticamente costellato i primi decenni dell’Italia repubblicana.

Anche per l’ordigno di Bologna, come per le altre stragi, si riuscì ad individuare gli esecutori ma mai venne fatta piena luce sui mandanti. Da sempre ci si rifà a servizi deviati, ad apparati dello Stato al soldo dell’eversione, a fantomatici complotti internazionali nel contesto della Guerra fredda. Si parla di tutto, senza venire a capo di nulla. Per questa orrenda strage venne condannato il gruppo dei Nar, organizzazione di estrema destra, che compì materialmente il massacro, ovvero: Luigi Ciavardini, Giusva Fioravanti, Francesca Mambro e Gilberto Cavallini. Con l’incriminazione di Licio Gelli, capo della loggia P2, si giunse poi ad un livello più alto della bieca manovalanza ma anche questa pista ad un dato momento finì si fermò.

In questo senso, cade davvero a taglio, l’accorato appello della presidente del Senato, Maria Elisabetta Alberti Casellati, in occasione del quarantesimo anniversario della strage, per chiedere che, finalmente, vengano rimossi i sigilli e siano desecretati tutti i documenti. Mai come oggi, in questo perdurante clima di sfiducia verso la politica, occorre trasparenza nei rapporti tra lo Stato e i cittadini. Una questione che investe la nostra democrazia: non possono esservi porti franchi o anfratti inaccessibili: c’è bisogno della massima limpidezza possibile.

Per il resto conosciamo molto bene il contesto in cui vennero perpetrati questi crimini. Dal dopoguerra sino agli anni Ottanta, vi fu la precisa e pervicace volontà da parte di alcuni settori dello Stato di dare all’Italia una robusta sterzata verso la destra più estrema. Per anni la nostra democrazia fu assediata da manovre tese a restaurare, se non il vecchio fascismo delle camicie nere (inutile orpello ormai condannato dalla storia), un regime autoritario in chiave anticomunista. Vi è chi auspicava la messa fuori legge dei partiti di sinistra e in particolare del Pci, forza centrale della Liberazione dal nazifascismo e pilastro della Costituzione repubblicana.

Ed era proprio l’odio verso la democrazia nata dalla Resistenza ad unire quel vasto brodo di coltura in cui nuotavano gli estremisti neri, pezzi di servizi segreti, frange marginali dell’ambiente militare. Un arcipelago reazionario che detestava la Dc, in quanto il riformismo dello scudo crociato, e in particolare il suo indiscusso ancoraggio alla democrazia, era giudicato pericoloso per il Paese: una porta aperta verso il comunismo. Da qui la necessità di un deciso cambio di rotta con l’avvento di un franchismo in salsa italiana, cui strizzava l’occhio anche la parte più retriva delle gerarchie vaticane avversa alle aperture democristiane verso le forze laiche.

Scenari dunque molto complessi segnati che videro spezzoni dello Stato contrastare le nostre istituzioni democratiche, alimentando una strategia della tensione pronta a seminare odio e violenza e a colpire alla cieca cittadini inermi, pur di innescare una reazione per il ripristino dell’ordine e ad approdare alla svolta autoritaria.

Questo il quadro generale. Adesso è tempo però – così sembra dirci, con ragione, la Casellati – di far chiarezza sulle singole responsabilità, scoprendo finalmente chi manovrava dietro le quinte, finanziando e coprendo gli stragisti. E per farlo seriamente c’è soltanto una strada: lasciar lavorare liberamente la magistratura, senza volerla ingabbiare con pretestuose riforme che ne tarpino l’indipendenza dagli altri poteri dello Stato e dall’esecutivo in particolare.

Print Friendly, PDF & Email

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.