Mes, Recovery e riforme

E’ cominciato un nuovo semestre di presidenza europea ed è un bene che in una fase tanto complessa come quella attuale la guida passi ad un peso massimo come la Germania assumerne la guida. Toccherà dunque ad Angela Merkel, il leader europeo con maggior prestigio ed esperienza, gestire il percorso che dovrebbe condurre al varo del Recovery fund. Se tutto filerà liscio avremo uno strumento inscritto in una logica solidale che permetterà di reperire capitali sotto la garanzia dell’Unione, a tassi ben inferiori a quelli che potrebbero ottenere i singoli Stati. Qualcosa che solo qualche mese fa, prima del Coronavirus, pareva pura fantascienza.

Il cammino è disseminato di parecchi ostacoli, ad iniziare dal modo con cui la dotazione prevista – circa 750 miliardi – sarà suddivisa tra prestiti e contributi a fondo perduto. Ed è proprio sulla composizione delle quote che si gioca la partita più importante. Soprattutto per noi. Ben sappiamo infatti che Olanda, Austria, Svezia e Danimarca sono contrarie al Recovery: lo vorrebbero il più ridotto possibile e con una netta preponderanza di prestiti. Anche Polonia ed Ungheria, tanto care ai nostri sovranisti, remano contro. La Germania, nonostante la forte reticenza del mondo economico e dell’anima più conservatrice della Cdu, il partito della cancelliera Merkel, ha invece ormai accettato il Recovery. Ci sarà però ancora da lavorare per convincere e il fronte avverso, anche considerando che, come in genere accade nelle decisioni europee, occorre l’unanimità dei consensi. Si tratta, in buona sostanza, di vincere le molte diffidenze di quei Paesi che temono di dover finanziare il debito altrui. Un timore ingiustificato ma di cui bisogna tener conto ed allora la cosa migliore che possiamo fare è quella di muoversi senza indugi su un credibile percorso di investimenti e di riforme.

Tutto diverrebbe peraltro più semplice se decidessimo, come buon senso imporrebbe, di accettare il Meccanismo europeo di stabilità, l’ormai famoso Mes. Agli altri Paesi europei, con la Germania in testa, risulta incomprensibile la nostra diffidenza verso questo strumento che ci consentirebbe di disporre, sin da subito, di 37 miliardi, mentre per il Recovery, se tutto va bene si dovrà attendere l’anno prossimo. Il Mes può venir utilizzato a condizione che le risorse siano spese per il comparto sanitario. Davvero non si capisce il problema, visto che, mai come oggi, abbiamo bisogno di investire nella sanità. Per di più alcuni maliziosi partner europei potrebbero pensare che il nostro pervicace rifiuto sia soltanto motivato dalla volontà di avere mano libera nella spesa e se si facesse realmente strada questa idea si rischierebbe di veder ridimensionata anche la portata finanziaria del Recovery.

Come muoversi dunque? In primis dare il via libera al Mes, anche ricordando la saggezza del vecchio detto “meglio l’uovo oggi, che la gallina domani”. In seconda battuta mettere rapidamente a punto un concreto piano di investimenti produttivi tra infrastrutture e green economy, in grado di inserire in una prospettiva di reale sviluppo la nostra richiesta di un forte sostegno finanziario di provenienza europea.

Infine ci sono alcune riforme da sempre in cantiere e mai portate a termine. Tra queste la più urgente è senz’altro quella fiscale, cominciando in via preliminare a stanare l’evasione con incentivi ai pagamenti elettronici per poi avviare un complessivo riassetto del nostro sistema tributario, sgravando i redditi di lavoro e tassando maggiormente le rendite. Tutto questo ci fornirebbe maggior credibilità in Europa agevolando, in definitiva, l’approdo a quel Recovery fund tanto agognato.

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