Aldo Moro e l’amore per il nostro tempo in un libro di Lucio D’Ubaldo

Una rilettura del paradigma esistenziale di Aldo Moro che mira a dimostrare come “l’impronta del giovane Moro è indistinguibile da quella della maturità e persino da quella del Memoriale”, messo a confronto con le questioni aperte del nostro presente. Questa la scommessa, felicemente riuscita, a mio parere, del libro di Lucio D’Ubaldo, una tra le voci più autorevoli e attive nell’attuale panorama del cattolicesimo democratico, dal titolo “Amare il nostro tempo. Appunti sul giovane Moro”.

Sono molti gli spunti di dibattito che apre questo libro, su questioni decisive per il nostro futuro, che nel contempo ci offrono dei criteri di valutazione del recente passato, di quella che, nelle intenzioni dello statista pugliese avrebbe dovuto essere la “terza fase” e che invece, come non manca di ricordare a più riprese l’Autore, si è configurata come una fase di povertà di visione della politica e di indebolimento della democrazia e del ruolo internazionale dell’Italia, di cui il rapimento e l’uccisione di Moro, sulle cui responsabilità continuano a rimanere decisivi punti oscuri, rappresentò il colpo più grave e propedeutico ai successivi attacchi.

Tre aspetti in particolare della straordinaria figura di studioso, di politico, di cristiano di Aldo Moro, rivestono una grande attualità. Aspetti che hanno contrassegnato in un crescendo tutta la sua vita perché, osserva D’Ubaldo, “in Moro non c’è un prima e un dopo, ossia l’apparire, a un certo punto, di una inversione di linea o di condotta politica. Non si coglie la cesura o lo stacco, ma l’affinamento, questo sì, di un tale giudizio o di una tale posizione”.

Il primo tratto caratterizzante del pensiero e della disposizione verso il mondo di Moro è quello dell’apertura al divenire, una attitudine che gli ha permesso di mantenere forte la capacità di leggere i mutamenti della realtà sociale, anche durante l’esercizio delle più alte responsabilità di potere.

In Moro si nota, scrive D’Ubaldo, “la disposizione di spirito a entrare nella dinamica degli eventi, per dominare la complessità di cui sono portatori e assoggettare essi alla politica, per quanto umanamente possibile, non la politica ad essi”. Una disposizione di spirito che pare ormai aver abbandonato una politica che appare sempre più ancella della finanza, del totem dei “mercati”, delle nuove tecnologie e da ultimo di uno scientismo tronfio e pericoloso per la democrazia. Il poche settimane di “medicocrazia” si è fatto scempio della moderna epistemologia, di assunti di opere fondamentali come “La struttura delle rivoluzioni scientifiche” di Thomas Kuhn, secondo cui ogni paradigma scientifico è relativo e tende ad esser prima o poi soppiantato da uno nuovo e più valido. Purtroppo, a differenza dei tempi di Moro, queste cose ora avvengono senza che vi siano più leader politici di quella statura e partiti capaci di indicare una visione di futuro, bensì ridotti a “sgabello dell’immobilismo”. Lo spirito dei tempi appare invertito rispetto a quello del secolo scorso: non più libertà, più democrazia, più sviluppo, più giustizia bensì più controlli, più concentrazione del potere, più decrescita, più separazione tra una ristrettissima élite di miliardari e il resto dell’umanità che viene pure colpevolizzata, quasi dovesse scusarsi di essere al mondo, mentre viene avviata al culto pagano della Madre Terra.

L’Autore evidenzia molto bene nei suoi risvolti filosofici e teologici l’attenzione prestata da Moro al “dinamismo della realtà, piuttosto che l’elemento di autoconservazione operante nel suo seno. Romano Guardini, filosofo e teologo, rivolto ai cristiani avrebbe espresso un analogo pensiero: ‘Il nostro posto è nel divenire’ ”. Deve farci riflettere molto il collegamento che D’Ubaldo adombra fra questa politica riflessiva e “il momento di una forza frenante che ricorda il katéchon paolino, l’entità misteriosa che trattiene l’avvento dell’Anticristo”. La vera politica non abdica dalla sua responsabilità, non asseconda le tendenze, ma cerca di cogliere la logica degli accadimenti per disinnescarne e prevenirne gli esiti più indesiderati o tragici. Dio sa di quanto ci sia bisogno oggi di questa virtù politica nella nostra Europa.

Un secondo aspetto della personalità di Moro su cui ci invita a riflettere questo libro, è quello del non appagamento, inteso come “inquietudine del bene – sempre nuovo nella sua forma storica – che forgia la coscienza morale e civile del cristiano”. Un concetto ribadito da Moro, come ricorda l’Autore, nel suo intervento al XII congresso (Roma, 6-10 giugno 1973), in cui “espresse il convincimento che nel cuore dell’esperienza cristiana operava ‘il principio di non appagamento e di mutamento dell’esistente nel suo significato spirituale e nella sua struttura sociale’ ”. Un principio che nelle forme “moderne” della politica, ormai ridotta a marketing, percepita dalle masse sempre più come un televoto da reality, disseminato di personaggi insignificanti che non ispirano alcuna fiducia, per contrasto mette in risalto la tragica situazione del cittadino-sovrano, retrocesso a consumatore da dare in pasto agli algoritmi, perfettamente tracciabile, manovrabile, prevedibile, con un rank di aspirazioni più simile a quello dei branchi che a quello di una comunità umana. A ciò si riduce un popolo, se non trova più chi è capace di dargli adeguata rappresentanza politica.

Infine, una terza grande lezione del pensiero di Moro è quella della centralità del dialogo per la vita della democrazia. Espressa dall’Autore in termini molto efficaci: Moro “nel prendersi carico della realtà, vedendo in essa la perenne dinamica del cambiamento, ha disapplicato la grammatica dell’ideologia”. A D’Ubaldo non può certo sfuggire il rapporto inversamente proporzionale fra questo metodo di Moro “a penetrare la sostanza dei problemi, a descriverne gli sviluppi e le implicazioni, a farne materia di ragionamento nell’articolazione di possibili sintesi” e il crescente “decisionismo” che ha ridotto il ruolo delle assemblee elettive. Che ha ridotto a ben vedere, sotto un mal compreso senso del politicamente corretto anche la varietà delle posizioni ammesse nel dibattito pubblico, ridotte a quelle che riescono ad evitare la ghigliottina preventiva di questa pesante forma di censura.

Un’opera davvero interessante, di aiuto anche per questa generazione a “illuminare l’oscuro avvenire ed amare il nostro tempo”.

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