Piazzale Loreto, non solo Mussolini!

Piazzale Loreto, a Milano, è il luogo in cui il 29 aprile 1945, esattamente 75 anni fa, i cadaveri di Benito Mussolini e della sua amante Claretta Petacci (che certo non meritava di esser uccisa) vennero appesi ad un palo di un distributore di benzina. Quei corpi a testa in giù, oggetto di scherno da parte della folla, non furono certo uno spettacolo degno di un Paese civile e più volte l’episodio è stato evocato, non soltanto negli ambienti neofascisti, come un’inutile postuma vendetta.

Per una piena ed obiettiva valutazione dell’accaduto bisogna però sapere cosa era successo in quella stessa piazza otto mesi e mezzo prima. Il 10 agosto del 1944 quindici partigiani, considerati dal regime di Salò dei traditori, e fino a poche ore prima detenuti nel carcere cittadino di San Vittore in quanto antifascisti, vennero fucilati. Si chiamavano Gian Antonio Bravin, Giulio Casiraghi, Renzo Del Riccio, Andrea Esposito, Domenico Fiorani, Umberto Fogagnolo, Tullio Galimberti, Vittorio Gasperini, Emilio Mastrodomenico, Angelo Poletti, Salvatore Principato, Andrea Ragni, Eraldo Soncini, Libero Temolo, Vitale Vertemati. Il più giovane, Del Riccio, aveva appena 21enne, mentre il più anziano del gruppo, il siciliano Principato, maestro elementare siciliano, ne aveva 52.

L’esecuzione dei quindici antifascisti, ad opera di un reparto della brigata Ettore Muti, fu una rappresaglia per un attentato compiuto nel capoluogo lombardo, in viale Abruzzi, con una bomba contro un camion tedesco. Nessuna vittima tra i tedeschi, sei invece le vittime italiane. Un fatto di sangue che i partigiani non hanno mai rivendicato e che qualcuno ipotizza sia stato costruito ad arte dagli stessi nazisti per poter incolpare i partigiani e farli odiare dal resto della popolazione che, in quell’estate del ’44, cominciava invece a detestare apertamente sia gli occupanti germanici sia i fascisti, ridotti per lo più a sgherri del potente padrone nazista.

Il comandante tedesco della piazza di Milano, Theodor Saevecke, che diverrà per l’appunto il boia di piazzale Loreto, volle dare una dura ed immediata risposta. Venne così prelevato un gruppo di prigionieri e, dopo la fucilazione, i loro corpi furono lasciati sul selciato, con un cartello che li qualificava come “assassini”, costringendo la gente a fermarsi perché potesse vedere quale punizione sarebbe toccata a chi si fosse ribellato o si fosse reso complice dei “ribelli”, come i nazifascisti chiamavano i patrioti che si battevano per la libertà.

Un clima di barbarie tipico dell’occupante nazista, la cui feroce occupazione dell’Italia, come ben sappiamo, condusse ovunque a fucilazioni, stragi e deportazioni. Quello del 10 agosto fu, dunque, l’antefatto che spiega l’altrimenti incomprensibile esposizione pubblica del corpo di Mussolini al dileggio della popolazione milanese. Una risposta alla ferocia di otto mesi prima che nessuno aveva dimenticato, né poteva dimenticare.

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