Il tracollo della biodiversità

Molti di noi sanno che la biodiversità, ovvero la varietà delle specie viventi del globo, è in costante declino. Ma pochi si rendono realmente conto di quanto sia drammatica la situazione, non solo nell’opinione pubblica, ma anche fra ambientalisti e “addetti ai lavori”, perché spesso non siamo a conoscenza di molti dati e indicatori che rendono invece evidente la gravità del problema e possono darci l’esatta percezione di quanto sia esteso e profondo il danno che abbiamo arrecato e stiamo arrecando al pianeta. Questa diffusa mancanza di consapevolezza fa sì che non venga avvertita a sufficienza l’urgenza di prendere provvedimenti seri per arginare questo tracollo.

L’estensione del danno è globale, ma si manifesta con livelli diversi di gravità nei vari ecosistemi del pianeta, risultando più o meno evidente a seconda dei contesti. Al tempo stesso, non vi è ormai dubbio che la causa del problema è la pressione esercitata dalla specie umana sulla biosfera, da cui il termine Antropocene con cui viene identificata l’era geologica contemporanea, nella quale è appunto l’Homo Sapiens a determinare i mutamenti planetari. Esaminiamo la situazione con una serie di esempi, non esaustivi, che possono aiutarci a visualizzare il quadro della situazione attuale e magari a valutare in prospettiva le possibili conseguenze.

Cominciamo col dire che oltre i due terzi (70%) della superficie terrestre sono stati alterati dall’azione umana (disboscamento, agricoltura, cementificazione…), spesso in maniera difficilmente reversibile. Una delle conseguenze di tutto questo è che nel corso della storia umana – periodo relativamente breve, su scala geologica – la biomassa della vegetazione terrestre si è dimezzata, perdendo oltre il 20% della varietà delle specie.

Anche nel Regno animale le cose non vanno meglio: dal tardo pleistocene (12.000 anni fa) a oggi la globalità della fauna selvatica si è ridotta di tre quarti, un assottigliamento che ha causato l’estinzione di molte specie. La riduzione progressiva del numero di individui di una certa specie porta infatti inesorabilmente ad arrivare sotto una soglia limite che possa garantire la prosecuzione della specie medesima, determinandone fatalmente l’estinzione. E non si tratta di una questione meramente quantitativa, ma anche qualitativa, perché la variabilità intraspecifica è importante quanto quella fra specie. Infatti, solo un elevato numero di individui garantisce quella variabilità che può consentire alla singola specie di sorpassare eventi potenzialmente fatali, come l’aggressione di nuovi patogeni o l’improvvisa alterazione dell’habitat.

Dal XVI secolo le cronache registrano la scomparsa di oltre 700 specie di vertebrati e circa 600 di piante, ma è probabile che la perdita sia più elevata, perché molte estinzioni potrebbero essere passate inosservate o riguardare specie nemmeno censite.

Questa tendenza è purtroppo tuttora in corso: si calcola che dal 1970 a oggi, in pochi decenni, oltre il 60% di tutti i vertebrati terrestri sia scomparso. Questa imponente perdita numerica si traduce in una minaccia di estinzione che riguarda almeno un milione di specie sul totale stimato di 7,3-10,0 milioni di specie di eucarioti, gli organismi viventi le cui cellule sono dotate di nucleo, definizione che ricomprende tra gli altri animali, piante e funghi.

Negli ultimi anni, questo declino precipitoso ha iniziato a colpire anche gli insetti, considerati fino a non molto tempo fa un possibile serbatoio di proteine in alternativa alla carne. In particolare desta preoccupazione la progressiva scomparsa degli impollinatori, il cui ruolo è pressoché insostituibile per la riproduzione di moltissimi vegetali, fra i quali anche buona parte di quelli utilizzati nella nostra alimentazione.

Ma la Terra, come ben sappiamo, è soprattutto un pianeta di acque, che ricoprono la maggior parte della sua superficie. Purtroppo, anche qui le cose non vanno bene, dal momento che oltre i due terzi dell’area oceanica sono stati in parte compromessi dalle attività umane. La nostra attenzione si focalizza in genere sui mammiferi, verso i quali proviamo una maggiore empatia, per cui sappiamo che balene, delfini e foche sono in pericolo. Ma anche la maggioranza delle altre specie è in grave difficoltà, a causa della pressione della pesca intensiva, , mentre i grandi pesci predatori sono diminuiti di un terzo nel corso di un secolo. Senza contare l’inquinamento, dalle pervasive microplastiche agli sversamenti di greggio.

Critica anche la situazione delle altre creature marine, a partire dai coralli, la cui copertura si è dimezzata rispetto a quella presente a metà del XIX secolo. Fatali in questo caso i cambiamenti climatici, che provocano innalzamento del livello, della temperatura e del grado di acidificazione delle acque. L’estensione delle foreste di alghe si è ridotta del 40%, le praterie marine nell’ultimo secolo hanno perso il 10% della superficie ogni decennio.

Non va meglio con le acque dolci. Le zone umide attuali sono meno del 15% di quelle presenti nel XVIII secolo. I corsi d’acqua sono sempre più imbrigliati, dai piccoli torrenti fino ai grandi fiumi: più dei tre quarti di quelli lunghi oltre 1000 km presentano barriere lungo il percorso, come la diga di Assuan sul Nilo o la Hoover Dam e la Glen Canyon Dam che impediscono al Colorado di arrivare fino alla foce, o le dighe del sistema Gibe che sbarrano il fiume Omo provocando il progressivo prosciugamento del lago Turkana, come già avvenuto per quello di Aral.

Tornando alla biodiversità animale, qualcuno ha calcolato che sul totale della biomassa, ben il 59% sia composto dal bestiame e il 36% dagli esseri umani viventi, cosicché solo un residuale 5% contiene tutta la fauna selvatica di mammiferi, uccelli, rettili e anfibi. In altre parole, il 95% della massa animale terrestre è rappresentata dalla specie umana e dagli animali domestici che usa per nutrirsi.

Peraltro, anche le specie addomesticate non sono esenti dal declino: il 10% dei mammiferi domestici si è già estinto e un migliaio di specie sono in pericolo. Discorso analogo per i vegetali coltivati, con 200 specie minacciate e una progressiva riduzione della variabilità alimentare, ormai basata a livello mondiale su un ventaglio di prodotti sempre meno variegato.

Tutti questi dati testimoniano in modo piuttosto evidente che stiamo vivendo quella che è la Sesta estinzione di massa del nostro pianeta, un evento paragonabile a quello che ha sterminato i dinosauri. Solo che oggi, a rischiare l’estinzione, ci siamo noi.

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