L’Europa dalla favola alla parabola

“Il morbo infuria, il pan ci manca, sul ponte sventola bandiera bianca”. Non vorremmo trovarci anche noi, oggi, nelle condizioni di quei cittadini che dovettero capitolare di fronte alla peste e agli austriaci, nel 1848, come è così riassunto dal patriota Arnaldo Fusinato nella sua poesia “L’ultima ora di Venezia”. Quindi, mentre si sta lottando per vincere il contagio, doverosamente si sta pensando anche a come si dovrà agire nel futuro più prossimo possibile per uscire dalle difficoltà economiche che questi mesi di dolore e di chiusure ci stanno procurando. A questo proposito, accanto al fiorire delle più svariate ipotesi, dove impazzano ricette e termini spesso usati senza proprietà, come: liquidità (per cosa? per far crescere i consumi? quali? per pagare i debiti? per riprendere il gioco d’azzardo?…); investimenti (dove? in che cosa? con quali obiettivi?); Piano Marshall, usato a proposito e a sproposito, come se molti fossero tutti storici o economisti o politici di lungo corso; e così via,… uno dei temi ricorrenti è come si dovranno/potranno finanziare questi costosissimi programmi di intervento economico. Sulla questione sono emerse importanti differenze tra gli stati che compongono l’Unione Europea: le nazioni finora più colpite dal virus, e più bisognose di aiuti, sono le più meridionali e le più indebitate, quelle “meno” sarebbero le cosiddette “virtuose” del nord. Neanche condividere i soli debiti necessari alla ricostruzione (e non i precedenti), con l’emissione di titoli europei in “euro”, per fronteggiarne le spese (gli allucinanti “corona bond”, ma meglio sarebbe chiamarli semplicemente “eurobond”), sembra essere così facile e l’esito di questo braccio di ferro, probabilmente un compromesso al ribasso, determinerà senz’altro nuovi rapporti politici all’interno dell’Unione, nella quale i paesi più fragili finanziariamente hanno i loro torti (per l’Italia possiamo pure ringraziare una classe politica variegatamente irresponsabile, nella quale hanno dato il loro peggio un paio di capi di governo milanesi della prima e della seconda repubblica, che non si chiamavano Monti), ma ne hanno molti anche quelli più forti, soprattutto per i diversi pesi e le diverse misure utilizzati nella gestione delle crisi precedenti (ad esempio: a suo tempo aiutare la Germania è stato meno difficoltoso rispetto ai costi sociali poi affrontati dalla Grecia) o per l’adozione di politiche fiscali o societarie non uguali, fatto che ha consentito, tra l’altro, l’emigrazione della sede fiscale o sociale di molte aziende (e perciò anche di tasse pagate) verso alcune nazioni ambigue da questo punto di vista, tra le quali anche l’Olanda.

Premesso che le questioni complesse non possono essere affrontate in poche righe, con “twitter”, “whats’app”, o solo con i “like”, mi piace/non mi piace, bianco o nero, … senza tener conto di complessità, sfumature, dettagli,… aderendo però a questa moda semplificativa, da un punto di vista elementare, con un paragone un po’ irriverente e paradossale, possiamo forse dire che l’economia e la politica europea, di fronte all’emergenza virus, dovranno prendere decisioni epocali, passando dalla cultura greco ellenistica classica a quella cristiana, cioè dalla favola di Esopo alla parabola evangelica del padre misericordioso (un tempo più conosciuta come del figliuol prodigo). Nella favola di Esopo/La Fontaine, la cicala dispendiosa non viene aiutata dalla formica virtuosa (non si sa però come infine andarono poi a finire gli stuoli delle formichine operose). Nella parabola, il figlio spendaccione, ma pentito, è aiutato dal padre misericordioso anche se non lo merita e non si sa se ricadrà nell’errore nel futuro. L’autorità del padre vince la riluttanza del triste ed apparentemente virtuoso figlio maggiore, anche perché egli è consapevole dell’essere tutti sulla stessa barca. La cultura cristiana, che è alla base dell’Europa, come sosteneva il filosofo laico e liberale Benedetto Croce nel 1942: «si vuole unicamente affermare, con l’appello alla storia, che noi [europei] non possiamo non riconoscerci e non dirci cristiani, e che questa denominazione è semplicemente osservanza della verità», una volta tanto la si potrebbe prendere in considerazione senza incorrere nel bigottismo. Cioè, se il principio di sussidiarietà (per il quale, in estrema sintesi, se un livello politico non ce la fa, quello superiore lo aiuta) è alla base dell’Europa, ora lo si dovrebbe coniugare con quello della “solidarietà”. Il problema è che in Europa ci manca l’autorità di un “padre” (democraticamente eletto, naturalmente), alcuni hanno il complesso di essere i fratelli maggiori senza colpe e non si sa se i figli spendaccioni siano veramente pentiti.

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