L’Unione europea di fronte ad una grande svolta

Inutile ripeterlo: l’Unione europea è ad una svolta, quella che può davvero decidere il suo e, in fondo, il nostro stesso avvenire. L’emergenza Coronavirus con l’espandersi del contagio senza sosta e senza frontiere avrebbe già imposto, sin dall’inizio, delle linee guida sovranazionali vincolanti per tutti, così da affrontare con le stesse modalità la crisi sanitaria, a cominciare dal criterio con cui vengono effettuati i tamponi.

Quanto è mancato, in fatto di coordinamento sul fronte sanitario, dovrà essere recuperato nella fase della ripresa economica per renderla celere ed efficace quando il virus – speriamo presto – sarà stato definitivamente sconfitto. Serve una regia sovranazionale con strumenti adeguati dal lato economico e finanziario. Questa la sfida, la grande svolta che l’Unione ha di fronte. Si tratta di approntare meccanismi comuni, eurobond o similari, che, senza far condividere il debito pregresso, agevolino la ripartenza economica e sociale dei diversi Stati con il sostegno di una garanzia comunitaria.

Una garanzia a livello europeo sarà certamente più forte di quella di cui possono giovarsi la maggior parte dei singoli Stati, più vulnerabili, ed assai più esposti, alle valutazione dei mercati. Conosciamo bene il timore, per alcuni versi comprensibile, dei Paesi nordeuropei di dover accollarsi i debiti altrui, ma il punto è tornare alla versione originaria degli eurobond, messa in campo negli anni Novanta, dall’allora presidente della Commissione, il francese Jacques Delors, che non parlava di mutualizzare il debito in essere (per molti Stati – tra cui l’Italia – già allora assai elevato) bensì di consentire a tutti i Paesi di accendere prestiti a condizioni più favorevoli, grazie all’assicurazione conunitaria. La possibile via di uscita, per superare le reticenze nordeuropee potrebbe essere questa: una garanzia comune sottostante con l’impegno che ogni Stato si muova poi sulla base di un ben precise linee concordate in sede europea volte allo sviluppo.

D’altronde dopo lo sfacelo prodotto dall’emergenza sanitaria saranno necessari interventi di portata straordinaria. Un piano di lunga gittata che interessi le infrastrutture da ammodernare, l’efficientamento energetico del patrimonio edilizio, la mobilità elettrica, le energie alternative, la svolta ecologica, la ricerca scientifica, e in particolare quella medico-farmaceutica, la sanità pubblica, la scuola e la formazione. Tutto quanto può concorrere alla crescita dovrebbe far parte di un grande paniere europeo dal quale ciascun Paese potrà prendere gli ingredienti voluti, confezionando la miscela ritenuta più confacente. Con questa logica si eviterebbe che i singoli Stati utilizzino risorse, garantite a livello europeo, per mere finalità assistenziali o per gestire la spesa corrente. Salvo, naturalmente, tutto quanto occorre – in questa prima fase – in termini di sostegno al reddito di lavoratori ed imprese.

E’ una partita realmente decisiva. Se l’Europa rinuncia a fare questo salto di qualità trincerandosi, come ha detto il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, dietro un manuale di economia con ricette liberiste ormai consunte, anziché rendersi conto che qui si sta facendo la storia, ne pagherà le conseguenze. Che saranno amare per tutti, perché significherà abbandonare l’idea stessa di integrazione europea.

Se infatti non si riesce ad allestire qualche meccanismo solidale e comune neanche in presenza di una crisi epocale come questa, c’è da chiedersi quando mai questo potrà avvenire. Se non ora, quando? Questa è la domanda da porsi.

Non è la prima volta che l’Unione si trova alle prese con una grande svolta. Capitò ai suoi inizi, nell’atto fondativo figlio della volontà di pace e di collaborazione tra i popoli appena sconquassati dalla Seconda guerra mondiale, grazie a tre grandi statisti quali il tedesco Konrad Adenauer, il francese Robert Schuman e il nostro Alcide De Gasperi. Poi, accadde una seconda volta dopo la caduta del Muro di Berlino e la riunificazione tedesca. In quel frangente Helmut Kohl e François Mitterrand seppero puntare sulla moneta comune. Adesso, trent’anni dopo, scocca nuovamente l’ora della scelta irrevocabile: fare un ulteriore passo in avanti verso l’integrazione economica e finanziaria a vantaggio di tutti.

Sapremo compiere questo passo? Speriamo sia così, altrimenti per il progetto europeo più che l’inizio di una sua nuova pagina sarà invece l’inizio della sua fine. Tocca soprattutto ad Angela Merkel, leader democristiana come Kohl e Adenauer, essere all’altezza dei suoi due grandi predecessori, fugando timori e diffidenze verso un’Unione più solidale. A un anno e mezzo dalla fine del suo mandato alla cancelleria, e dal suo probabile ritiro dalla scena pubblica, ha l’occasione – lei così restia alle gesta epocali – di passare alla storia. C’è da credere che voglia farlo per costruire l’Europa e non per affossarla.

Print Friendly, PDF & Email

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.