Il contributo dei cattolici alla rinascita del Paese e dell’Europa

La concomitanza di due – per ora – grandi fattori di crisi, quello sanitario, e quello economico-finanziario interpella, con durezza, anche l’impegno civile dei cattolici. In momenti di emergenza come quello attuale, che richiedono a tutti spirito di unità e di sacrificio, occorre saper tirar fuori il meglio dal bagaglio di competenze, di idealità e di programmi che hanno forgiato il contributo dato alla storia del Paese dal cattolicesimo sociale e politico. La differenza che balza all’occhio rispetto alle fasi precedenti di svolta, è che mentre nel passato, memori delle grandi tragedie della storia del Novecento, dal popolarismo, dai cattolici organizzati in politica e nella società civile venivano proposte destinate a cambiare l’architettura dello stato, il sistema economico e sociale, in funzione del primato della persona umana, della giustizia sociale, della libertà, della democrazia e della solidarietà, questa generazione di cattolici, degli ultimi quarant’anni, quella dalla seconda repubblica ad oggi, non ha dimostrato altrettanto spessore né altrettanta adeguatezza a rispondere alle sfide del proprio tempo.

Si è andati, siamo andati, per troppo tempo a rimorchio di interessi e di progetti che non avevano come loro principale scopo il bene comune. Nel migliore dei casi ci siamo limitati a ripetere – senza far scaturire concrete iniziative politiche – inviti e moniti contenuti nella Dottrina sociale della Chiesa, in particolare quelli riproposti nelle ultime encicliche sociali, la Caritas in Veritate di Benedetto XVI e la Laudato Si’.

Papa Francesco nella Laudato Si’ (2015) ci invitava a riflettere sul fatto che «la crisi finanziaria del 2007-2008 era l’occasione per sviluppare una nuova economia più attenta ai principi etici, e per una nuova regolamentazione dell’attività finanziaria speculativa e della ricchezza virtuale. Ma non c’è stata una reazione che abbia portato a ripensare i criteri obsoleti che continuano a governare il mondo (§ 189)».

Adesso che quel mondo, quel paradigma, quel modello economico fondato sul primato della moneta sulla persona, sulla speculazione finanziaria, sulla compressione dei salari e della domanda aggregata, sulle delocalizzazioni selvagge, è giunto, all’improvviso, al capolinea, perché la pandemia ne sta dimostrando l’insostenibilità, si fa fatica a trovare qualche laico cattolico che abbia cercato di tradurre sul piano politico e sociale quella critica che arrivava dalla gerarchia. Non si ricordano negli anni ‘10, il decennio perduto dell’Europa, battaglie per la separazione bancaria, o per il superamento del divieto europeo alle banche centrali di usare le loro intrinseche prerogative di prestatori di ultima istanza, o, tranne qualche significativa ma isolata voce, per chiedere il superamento dell’austerità e per opporsi all’inserimento in Costituzione del pareggio di bilancio.

Di fronte all’attuale emergenza si avverte un grande vuoto della politica e i partiti tutti, da quelli che ultimamente in modo gentile riempivano le piazze a quelli che sembravano affrontare ogni problema prevalentemente in funzione di una perenne campagna elettorale, serbano essersi liquefatti, incapaci di contribuire a definire la rotta per uscire dall’emergenza e ripartire.

I cattolici devono reagire, dimostrando una triplice consapevolezza. In primo luogo non si deve pensare che l’impegno a lenire le sofferenze, a fare i buoni samaritani, a organizzare la solidarietà esaurisca l’impegno civile. Serve nel contempo dare prova di progettualità politica, a partire dalle tante priorità che si incontrano nella società.

La seconda consapevolezza necessaria in questo difficile momento, come in tutti i momenti di maggiore crisi, è relativa al fatto che il “sistema”, nelle fasi più acute di crisi, tende a salvare essenzialmente se stesso, non le moltitudini. Senza una efficace pressione popolare, e la capacità di intercettarla e di organizzarla in forma politica, dando per prima cosa voce a chi non ha voce, a quanti risultano, incredibilmente, “invisibili” a chi governa, i cambiamenti che si produrranno in conseguenza della pandemia, tenderanno ancora ad avvantaggiare quelle ristrette cerchie che sono i maggiori responsabili degli squilibri del sistema economico e finanziario globale.

La terza consapevolezza per quanti si riconoscono nel vasto arcipelago dell’impegno sociale e politico dei cattolici, è che qualunque lezione della storia, anche la più dura, sarà insufficiente a generare una nuova progettualità, se non si pone in atto una sorta di nostra “disintossicazione” dalla rappresentazione delle priorità della politica e dell’economia che nello scorso decennio ci è stata propinata a getto continuo dal mondo dell’informazione, come riflesso della visione degli interessi dei pochissimi a scapito di quelli dei molti.

Se, per fare un esempio, si continuerà a credere che i debiti degli stati siano come quelli delle famiglie e delle aziende (cosa che se fosse vera, non darebbe alcun significativo margine di manovra alle istituzioni nazionali ed europee, e in nessuna parte del mondo, nel reperire le necessarie risorse per contrastare i disastri sanitari ed economici prodotti dal coronavirus e per rilanciare l’economia), ebbene, allora è meglio fare del buon volontariato, riconoscendo che in politica non si ha nulla da apportare. In quella prospettiva manco si riuscirebbe a comprendere quale sia la posta in gioco per il futuro dell’Europa. Posta in gioco che riguarda non tanto gli strumenti finanziari (come mes, eurobond, omt e altri) quanto la condivisione del rischio fra i Paesi dell’Eurozona. Occorre prendere atto che la via dell’integrazione europea è minacciata dal fatto che, come ha osservato Romano Prodi, “la divergenza degli interessi contingenti è ancora più potente della necessaria condivisione di un futuro comune”. Quello che l’emergenza coronavirus ha reso chiaro a tutti è che la via che si era intrapresa, quella dell’austerità, del pareggio di bilancio, del patto di stabilità, della scarsità di denaro per l’economia reale (in Grecia vi è stata un’impennata della mortalità infantile, quando il Paese, che aveva un debito di tre volte inferiore alla misura da 750 miliardi varata per l’emergenza sanitaria, poteva esser salvato con un semplice “click” della Bce, anziché imponendogli tagli disumani e crudeli), era la via dell’implosione dell’Europa. Una via che alcuni pensano di poter imporre anche all’Italia, non appena finisca l’emergenza sanitaria, incuranti del fatto che il fallimento dell’Italia finirebbe per trascinare con sé quello dell’intera costruzione europea. Urge il contributo dei cattolici a trovare la nuova via, in tempo utile, prima che la situazione sociale ed economica, con la grande crisi dopo la pandemia che colpirà i ceti popolari e una classe media già stremata da un decennio di rigore, finisca per deteriorarsi oltre ogni possibilità di recupero e di composizione in una cornice di democrazia.

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