Il “cigno nero”

Gli economisti definiscono “cigno nero” quell’avvenimento raro – per l’appunto come il volatile che di solito conosciamo bianco – che, improvvisamente, sconvolge tutte le nostre più accurate previsioni, mandando a carte quarantotto quegli assetti che si ritenevano consolidati. In pratica: l’identikit dell’emergenza Coronavirus che sta attraversando come un turbine il nostro Paese e l’intera Europa. Una grave emergenza con tutti i suoi risvolti di cura ed assistenza medica e di tenuta stessa del nostro sistema sanitario, cui si accompagnano forti ed insostenibili ricadute economiche.

Le ripercussioni di questa crisi, a parte quelle legate alla salute, che ovviamente sono la principale ed assoluta priorità, sono ormai evidenti un po’ in tutti i comparti economici e in particolare nel turismo, nel commercio e nell’industria. Un quadro negativo di dimensioni globali. L’economia mondiale, a partire da quella cinese, subirà una notevole frenata e lo stesso si prevede negli altri Paesi asiatici, come Giappone o Corea del Sud, tra i primi focolai del virus. In Europa le cose andranno anche peggio, dati i livelli di incremento annuo di Pil assai ridotti rispetto a quelli che si rinvengono in Asia. A casa nostra poi, tutto sarà amplificato da un’incapacità di crescita che è ormai quasi endemica.

E’ chiaro che nei prossimi anni si imporrà un cambiamento di modello di sviluppo che superi il liberismo economico di questi decenni per dare spazio, ovviamente in un contesto di economia di mercato, ad un più incisivo ruolo dello Stato e degli investimenti pubblici. Questioni che avremo modo di affrontare più diffusamente non appena il Coronavirus sarà alle nostre spalle. Per intanto il Governo ha varato alcuni provvedimenti come la sospensione dei termini di versamento di imposte e contributi e alcune misure di sostegno al reddito, con l’estensione della cassa integrazione straordinaria. Interventi tampone per dare un po’ di respiro ad imprese e lavoratori. Poi si sta delineando un’azione più massiccia con una dotazione che, in prospettiva, dovrebbe salire a 25 miliardi di euro, da impiegarsi a favore del sistema sanitario e di quello produttivo. Questa emergenza fa saltare tutti i normali vincoli di deficit, allargando la nostra facoltà di accrescere la spesa pubblica e lo stesso accadrà per gli altri Paesi europei che adesso si trovano a fronteggiare la nostra stessa situazione.

Di certo è il momento che l’Unione batta un colpo e mostri la sua capacità di agire, al di là delle belle parole pronunciate nei giorni scorsi dalla presidente della Commissione, Ursula Von den Leyen. Sinora – spiace dirlo, da europeisti convinti quali siamo e quali continueremo ad essere – l’Europa è stata a dir poco deludente. Incapace, neppure dinanzi ad un’emergenza di questa portata, di darsi una strategia comune e una linea condivisa. Eppure è evidente come un’epidemia del genere non abbia confini e sia dunque insensato procedere ciascuno per conto proprio.

Su tutto questo, ovviamente a tempo debito, bisognerà riflettere perché un’emergenza sanitaria incidendo su un bene primario come la salute di tutti i cittadini richiede anche l’attivazione di competenze a livello europeo. Lo stesso può dirsi per la gestione delle problematiche economiche, che richiede un certo coordinamento, da ottenersi dotando prima possibile il bilancio comune dei fondi necessari per adempiere alla sua funzione sovranazionale. Da questa grave crisi – sanitaria, economica e sociale – può, insomma, uscire un’Europa più unita e più forte. La strada è quella anche perché, in caso contrario, avremmo fatto un ulteriore passo verso il suo progressivo disfacimento. Giorno dopo giorno, senza neanche accorgersene.

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