Un effetto-Sanders sul centrosinistra?

È presto per capire se Bernie Sanders questa volta ce la farà a conquistare la nomination democratica. Ma una serie di processi si sono già messi in moto a prescindere da come andranno a finire le sfide per le presidenziali americane. Processi che non saranno senza conseguenze anche per il nostro Paese. Attorno all’ottantenne senatore del Vermont si sta creando una alleanza inedita tra l’anima popolare del partito democratico, quanti avvertono l’insostenibilità di una situazione di disuguaglianza mai così alta ed i fautori di politiche economiche e monetarie espansive, incentrate non più, come avviene nell’Eurozona, sul primato della moneta su tutto, bensì sul primato della persona e dell’economia reale sulla moneta. Comunque sia, un programma politico, alternativo a quello del partito democratico controllato dai Clinton e da molti miliardari. Come se vi fossero due partiti in uno, proprio come successe quattro anni fa nel partito repubblicano con l’ascesa di Trump. E che – per inciso – smentisce il bipartitismo proprio in quella che si può considerare la sua patria. È evidente che una ipotetica vittoria di Sanders alle primarie e soprattutto a novembre sul favorito Trump, oltre a smentire ancora una volta i sondaggi, avrebbe delle conseguenze enormi anche sulla politica italiana. Paradossalmente però lo schieramento che più potrebbe soffrire di un tale successo appare essere quello di centrosinistra. Infatti, il Pd dopo esser ritornato al governo ha rinunciato, forse per un eccesso di realpolitik (constatati l’immobilismo e la debolezza estrema della nuova Commissione Europea, alla cui guida è stata promossa la von der Leyen, nonostante una sua tutt’altro che brillante esperienza nel governo tedesco) ad affrontare la questione fondamentale per il futuro del Paese. Che non è solo il “che cosa” (la revisione dei parametri economici, su cui tutte le forze politiche italiane concordano) ma che è soprattutto il “quando”. Questo governo, come il precedente, e quelli della scorsa legislatura, ha rinunciato a dare un’indicazione temporale alla necessità di cambiare l’Europa dal suo interno. E in assenza di tempi certi regna, incontrastato, il pilota automatico dell’austerità, che in quanto ” stupido” (definizione di Prodi) non può vedere il sommarsi di crisi cui stiamo assistendo (finanziaria, sociale, ambientale, sanitaria, militare) nè gli effetti prociclici che esso provoca, ovverosia di rendere più gravi gli effetti della nuova crisi globale anziché contrastarli, come si cerca di fare in tutto il resto del mondo. È chiaro che se il Pd e l’intero centrosinistra rimangono legati all’osservanza rigida di tali politiche deflattive (e non possono fare altrimenti per non ricevere le bacchettate dall’Europa, dallo spread, dalle agenzie di rating, anche se così facendo espongono il Paese a pericoli addirittura maggiori di tracollo economico e sociale e di involuzione democratica), in caso di vittoria di Sanders alle presidenziali americane non potrebbero che ricevere una forte delegittimazione dalle politiche espansive contenute nel suo programma che stanno agli antipodi di quelle austeritarie a cui ci costringe un’Europa in cui il denaro, anziché servire, ha preso il comando. Più in generale, sembra che la finestra su un possibile cambiamento nel Paese si sia definitivamente chiusa. Una finestra che l’elettorato, pur in modo contraddittorio e problematico, aveva aperto nelle elezioni del 2013, nelle europee del 2014, e infine nelle ultime politiche del 2018. Si sono alternati governi di differenti colori politico ma le politiche economiche e monetarie sono rimaste immutate quando non addirittura rese più rigide e più procicliche, inadatte e controproducenti nell’affrontare i gravissimi problemi economici e sociali. Una classe politica, nel suo insieme, sembra sia venuta meno all’obiettivo di garantire un accettabile livello di rappresentanza. Con la finestra del cambiamento che si chiude, la fase dell’avvitamento del Paese su se stesso rischia di non incontrare più ostacoli: più si fanno sforzi per rispettare i vincoli esterni, i quali richiedono ulteriore aumento della pressione fiscale e dei tagli al welfare, e più la recessione sarà forte e lunga, richiedendo nuove misure draconiane fino alla completa svendita del Paese e ad una avanzata disgregazione del suo tessuto economico e sociale che potrebbe sfociare in un mix di pericoli da galleria degli orrori: fine dell’unità nazionale, o venir meno della democrazia, o ingovernabilità, caos, guerra civile strisciante. Ancora una volta nella storia per l’Italia la salvezza può venire solo dall’America, un’America, si spera, tornata solidale dopo che abbia trovato un’alternativa a Trump, non un’alternativa qualsiasi, ma un’alternativa popolare e sociale come quella che sembra promettere Bernie Sanders.

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