Il nuovo autunno caldo

E’ di ormai oltre cinquant’anni fa il famoso <autunno caldo> che portò ad un protagonismo sindacale positivo, per la nuova consapevolezza operaia, la necessità di allargare le lotte e le contrattazioni ad aspetti sociali rimasti, fino ad allora, necessariamente più marginali.

E portò la stessa politica a convertirsi e reinventarsi su questioni che richiedevano nuove attenzioni, e nuove visioni di società, dopo il boom economico che aveva nascosto, se non provocato e fatto aumentare, fragilità derivanti dall’industrializzazione e dalla conseguente urbanizzazione.

Del sessantanove fu un frutto importante la famosa legge denominata Statuto dei Lavoratori. Di questa si è parlato nei decenni successivi, a volte per smontarne alcune parti o per aggiornarne altre al mutare delle condizioni della stessa organizzazione del lavoro; in genere per indebolirne la portata che ha qualificato il suo contenuto.

Un ’69, quello di cinquant’anni fa, che poggiava soprattutto su aspetti sindacali e sociali (oltre che politici). Oggi, terminato il 2019, con la situazione generale, la crisi finanziaria che ha coinvolto anche i Paesi più sviluppati (anzi forse più questi rispetto ad altri), le novità che stanno interessando il mondo del lavoro e la sua organizzazione e gli stessi sistemi produttivi, con il ritorno alle manifestazioni di dipendenti di aziende in crisi o che rischiano chiusura e delocalizzazioni, mi sembra di poter affermare che si sia riproposto se pur con modalità molto diverse e strategie meno ottimistiche di allora un nuovo autunno caldo.

Questa volta, però, la cosa non è possibile restringerla soltanto ad aspetti sindacali, occupazionali, e genericamente sociali; in quest’epoca il <nuovo autunno caldo> è più complesso. Per usare la terminologia di Papa Francesco, nella Laudato sì, ci troviamo di fronte alla necessità di affrontare la cura della casa comune; perché la battaglia oggi è più che mai a 360 gradi (ecologica, sociale, antropologica, politica, economica).

Il nuovo autunno caldo ci mette di fronte i giovani dei Fridays for Future, la popolazione delle “sardine” che chiedono un passo nuovo alla politica e un linguaggio meno aggressivo e volgare oltre che un richiamo ai valori fondanti della nostra democrazia, le continue richieste di minori tasse minori impacci burocratici e interventi a favore dell’occupazione, manifesti di intellettuali ed esperti per sollecitare cambiamenti di sistema economico, proteste contro la ancora insufficiente attenzione alle debolezze idrogeologiche alle attività inquinanti al sistema dei rifiuti. Così come, nonostante i veleni sparsi nei mesi scorsi e la percezione dovuta ad una gestione ancora troppo improvvisata, molti continuano a chiedere più attenzione al salvataggio dei profughi e dei migranti economici; oppure attenzione etica alle situazioni di vita e salute oggi troppo delegate alla semplice tecnica (la fecondazione assistita, l’utero in affitto, tutte le problematiche legate al fine vita o alle possibilità di alternativa all’aborto non possono essere risolte da sentenze della magistratura o lasciate al far west delle decisioni individualistiche). Non manca l’insorgere di un nuovo odio razziale che si gonfia il petto e si sente protetto dagli sdoganamenti di idee e terminologie aberranti. Poi c’è tutta la questione degli abusi sui minori e la violenza sessuale, i femminicidi, le infibulazioni, e quant’altro. Anche in questi casi le persone e i gruppi si sono mobilitati e chiedono attenzione.

Attenuatosi, dopo le elezioni regionali in Emilia-Romagna, il clima da <madre di tutte le battaglie, c’è da sperare che riprenda il cammino di gestione seria del Paese per rimetterlo in marcia allontanandolo dal possibile declino. Restano le questioni da affrontare e risolvere. Tornare in mezzo alla gente, per ascoltarla e rappresentarne bisogni ed esigenze; dare risposte <sociali> e <di sicurezza> per smontare le paure; far ripartire i lavori per le manutenzioni e le opere necessarie per un Paese moderno;
ammodernare la pubblica amministrazione; ridare fiato all’economia perchè si ricrei lavoro; interessarsi dell’istruzione e del progetto educativo; dare attenzione alle politiche famigliari e alla natalità; non abbassare la guardia rispetto alla difesa dell’ambiente; contrastare le mafie e l’illegalità in genere;
educare alla cittadinanza, alla partecipazione, al rispetto delle persone, della Costituzione, e della democrazia; ritornare a puntare sulle autonomie locali e sui corpi intermedi.
Poi c’è la questione della rappresentanza delle culture e delle idee: a fronte della necessità di accelerare le scelte politiche e favorire la governabilità, di pari passo si deve operare per consentire che le culture politiche possano dare il loro contributo e non essere accantonate da sistemi elettorali <camicia di forza>.

L’Italia resta una nazione, un Paese, dove le posizioni politiche sono più di 2; e il futuro potrà agevolare una sconfitta delle posizioni radicali, estremiste, fondamentaliste solo con una legge che in modo equilibrato e chiedendo prima del voto di allearsi, dia spazio a presenze plurali. Perché non sempre ci possono essere le Sardine che sollecitano la partecipazione; gli elettori votano quando sanno come esprimersi. Non si può per tutta la vita votare il meno peggio, o turandosi il naso!

Se 50 anni fa, con la spinta del ’68 e con l’autunno caldo del ’69, si è dato inizio ad una nuova fase della vita repubblicana, introducendo elementi maggiori di democrazia (si pensi a tutto il discorso della partecipazione, dei consigli di Quartiere, dei Consigli di Fabbrica, dei Decreti Delegati per la scuola) oggi avviati verso il terzo decennio dl XXI secolo mi sembra sia necessario provvedere ad aprire una fase nuova, positiva, di avanzamento sociale, civile, democratico che sappia davvero essere un’epoca (uso sempre il linguaggio della Laudato sì) di <ecologia integrale>: questo il nuovo autunno caldo che sogno si realizzi.

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