Cattolicesimo politico: l’Europa come necessità storica?

L’ampio, e per certi versi annoso, dibattito sul ruolo dei cattolici nell’arena politica italiana, tema di cui peraltro si parla dai tempi della fine della Dc, pare aver trovato un nuovo slancio. Il manifesto di recente redatto dall’economista Stefano Zamagni sembra infatti rappresentare un interessante elemento di novità su cui innestare un percorso di rivitalizzazione del cattolicesimo in politica. A questo si aggiunge la proposta di riprendere le pubblicazioni della testata Il Popolo, come strumento politico-culturale, per alimentare ed arricchire le discussioni su come restituire vigore al pensiero democratico-cristiano.

Evidente che oggi, più che mai, occorra lavorare intensamente sul piano culturale, perché è proprio una carenza di cultura politica la prima causa dell’insignificante progettualità che caratterizza la nostra attuale classe dirigente. Discutere e riflettere, sui problemi economici e sociali, confrontando magari le esperienze straniere, è infatti il presupposto per elaborare proposte sensate in sede politica, sia che si abbiano compiti di governo sia che ci si trovi collocati all’opposizione. E’ impensabile che la politica italiana si riduca ai selfie di Matteo Salvini, agli scatti di umore di Luigi Di Maio o agli slogan ad effetto di Matteo Renzi: il tutto nella spasmodica attesa di un sondaggio e con l’occhio rivolto alla scadenza elettorale più immediata. Fosse anche una semplice elezione locale.

Dopodichè si tratta di capire quale sia la strada migliore per il cattolicesimo politico. Una più decisa presenza nel Pd, cercando di valorizzare al suo interno la famiglia cattolico-democratica? La nascita di un nuovo partito, in stile Cdu tedesca? O cos’altro ancora?

Di certo c’è da prender atto dei profondi mutamenti della società italiana negli ultimi trenta-quaranta anni. Il ruolo del cattolicesimo è fortemente indebolito, in un contesto nel quale il 50 per cento dei giovani sotto i 25 anni si dice non credente. Una società ultrasecolarizzata in cui i credenti praticanti rappresentano, forse, il dieci per cento dell’insieme. Si tratta di fare i conti con questa realtà tenendo poi a mente che la fetta probabilmente maggiore di chi auspica una più incisiva presenza cattolica nella scena pubblica, si colloca nel centro-destra ed approva la linea del cardinale Camillo Ruini, di un apporto diretto della fede religiosa nella sfera politica.

Attenzione poi al sistema elettorale. Il maggioritario è quanto di peggio possa esservi per rafforzare un’espressione politica dei cattolici, costretta a scegliere se stare a destra o a sinistra e favorendo la contrapposizione, già presente ai tempi di Luigi Sturzo, tra conservatori e riformisti. Resta dunque vitale, puntare su un modello proporzionale, magari con un piccolo premio di maggioranza, che, almeno potenzialmente, consenta una certa ricomposizione del variegato mondo cattolico.

Alla fine rimane però un decisivo interrogativo che non è possibile eludere e che rappresenta il fondo della questione. Si tratta cioè di comprendere se oggi esista davvero un’effettiva necessità storica per una presenza cattolica nell’arena politica. Qualcosa che emerse nel 1919, con la breve stagione del Ppi di Sturzo, per fare entrare i cattolici nell’agone politico, e soprattutto nel 1945, con la Dc che, dopo la dittatura e la guerra mondiale, guidò l’Italia verso la libertà e lo sviluppo. Adesso esiste questa necessità dal punto di vista storico? Rispondere non è semplice. Eppure, a ben pensarci, essa potrebbe venire a galla nell’esigenza, quanto mai impellente, di restituire forza e passione all’integrazione dell’Europa. E chi può farlo, meglio del cattolicesimo democratico?

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