Cattolici e politica: definire la missione fondamentale per un impegno calato nella concreta situazione attuale

Anche in questo nostro tempo i cattolici si interrogano su quale possa essere il loro impegno a servizio del bene comune. Una preoccupazione che riguarda sia i laici impegnati nel mondo del lavoro, delle professioni, dell’associazionismo e della politica, che la Chiesa nelle sue espressioni gerarchiche. Un compito che ha attraversato tutte le diverse epoche della storia dell’Italia unita. E che ha avuto le sue stagioni più alte nei periodi (1919 e 1945) susseguenti alle due grandi tragedie del secolo scorso, durante le quali i cattolici diedero un decisivo contributo nel gettare i semi delle successive rinascite.

Se si è memori di quella che è stata la storia del cattolicesimo sociale e politico nel Paese, e consapevoli degli indicatori economici, sociali e geopolitici che volgono alla crisi e alla tempesta, e che fanno del momento storico che stiamo attraversando non un momento storico ordinario bensì un momento storico in equilibrio precario fra enormi e inedite nuove chances e rischi concreti di disintegrazione, non si può pensare solo di appiccicare alla situazione attuale del Paese un elenco di cosette da fare. Serve un cambio di paradigma con il quale poter definire quale sia la causa, la battaglia, la missione fondamentale dell’impegno del cattolicesimo sociale, democratico e popolare, nel concreto e nello specifico di questa ora della storia nella quale il Paese, l’Unione Europea, le relazioni internazionali, il sistema economico e finanziario globale non appaiono più immuni dal rischio di precipitare nel baratro.

Carlo Maria Martini

La regalità di Gesù, che è quella che non si contrappone necessariamente per far concorrenza agli altri poteri umani, ma introduce nella storia quel correttivo misericordioso che permette alla storia di non andare verso la rovina totale.
(23 novembre 2002)

In questo tempo di scontro fra sovranismi, quelli millantati degli stati e quelli veri delle oligarchie economiche e finanziarie, la causa fondamentale per un cristiano non può che essere quella di seguire e imitare la regalità di Gesù Cristo, la quale, come osservò il cardinal Carlo Maria Martini in un’omelia d’inizio secolo, «introduce nella storia quel correttivo misericordioso che permette alla storia di non andare verso la rovina totale, ma aiuta gli uomini e le donne, e soprattutto i responsabili delle nazioni, a prendersi a cuore il futuro dell’umanità». Una meditazione che risuona di stringente attualità in un mondo incamminato verso una nuova divisione in due blocchi, quello occidentale e quello imperniato sulla Cina, in un’Europa da troppo tempo ferma, a cui manca la volontà politica di realizzare in tempi brevi una piena ed effettiva unione economica, e nella quale l’immobilismo lascia sempre più spazio alle ombre redivive del passato della geopolitica, e in un‘Italia stremata da un decennio di politiche economiche non idonee, quando non addirittura deleterie, per la realtà del Paese.

Se questa è la nostra causa, se vogliamo metterci in gioco su un’idea di come i cattolici possono stare in politica nei nuovi Anni Venti, allora il progetto da declinare nel concreto risulta quello di contribuire a rafforzare quel “correttivo misericordioso” indicato dal cardinal Martini, onde evitare che si vada “verso la rovina totale”, sulle questioni principali del presente: il lavoro, l’Europa, le politiche economiche. Il tutto nella dimensione globale della sostenibilità secondo gli obiettivi dell’Agenda Onu 2030.

Un robot cinese in mostra a Pechino

Il mondo del lavoro, profondamente cambiato e scosso da una globalizzazione per alcuni aspetti troppo veloce e selvaggia e dalla rivoluzione tecnologica, si ritrova davanti a sé la possibilità di sfruttare in modo accorto i rapidi progressi nel campo dell’intelligenza artificiale, della automazione e della robotizzazione. Si stanno aprendo scenari inediti in cui possono venir meno molte delle ragioni che hanno causato le delocalizzazioni industriali, potendo disporre su una maggior quota di lavoro automatizzato sui territori. Ma si tratta di processi che vanno governati, sostenuti con adeguati investimenti in ricerca e formazione.

Nel contempo occorre agire per fermare la sempre più iniqua divisione della ricchezza fra capitale e lavoro, che priva il lavoratore di un equo salario, dei diritti sociali e alla fine della stessa dignità di persona, nonostante questi siano valori sanciti dalla Costituzione. Il recente studio del sociologo Luca Ricolfi offre delle piste assai interessanti per decifrare e governare le contraddizioni del mondo del lavoro in cui i giovani migliori emigrano, la paura del futuro prevale sull’iniziativa imprenditoriale, il lavoro dignitoso scarseggia e l’economia ufficiale è sorretta da una marea di milioni di lavoratori sfruttati all’inverosimile, paraschiavi, naturale conseguenza di una politica economica che assolutizza la stabilità monetaria, provocando così l’unica svalutazione possibile, quella sui salari.

Mario Draghi

Anche l’Europa necessita di una iniziativa forte e urgente che ne scongiuri la possibile implosione, e che deve trovarci in prima linea come eredi della cultura politica di padri fondatori come De Gasperi e Adenauer. Non è la minaccia sovranista e populista, peraltro ridimensionata nelle ultime elezioni europee, a far tremare l’Europa. È lo smarrimento di un percorso di integrazione fondato sulla solidarietà, sostituito da una avventurosa asimmetria di potere e di ricchezza fra le varie stanze dell’edificio europeo, che ne mina le fondamenta. La inverosimile vicenda della riforma del Mes, il fondo salva-stati, architettato per funzionare a senso unico, ne è una eloquente dimostrazione. La sacralizzazione di alcuni parametri economici, arbitrari se non cervellotici e privi di fondamento scientifico, che hanno prodotto dal 2008 in avanti politiche procicliche, di accentuazione degli effetti della crisi, (attenuate solo dall’azione encomiabile, ancorché incompleta, esercitata da Mario Draghi nel corso della sua presidenza alla Bce) ha privato deliberatamente l’Italia e l’Europa di un decennio di crescita, facendo aumentare la povertà, esplodere le disuguaglianze sociali, falcidiando posti di lavoro, stendendo su tutto il continente il velo lugubre della deflazione che mai preannuncia cose buone. I fatti hanno dimostrato che il perseguimento ossessivo e miope della stabilità monetaria finisce per generare all’opposto grande instabilità sociale, economica e politica, e costituisce la minaccia più seria al futuro dell’integrazione europea. I cattolici devono affermare invece, con papa Francesco, che la moneta deve servire e non comandare. Il fine della politica, come sancisce la Costituzione, è la persona e il bene comune, non può più essere lo schwarze Null, il pareggio di bilancio.

Un impegno europeista autentico, e non solo retorico e nostalgico di un assetto che non c’è più da quando la Germania è ritornata unita, è quello che agisce in modo deciso per ottenere l’unione economica completa (fiscale, bancaria, di condivisione del debito, di conferimento alla Bce delle prerogative di tutte le altre banche centrali) come obiettivo da raggiungere in questa nuova legislatura europea, pena l’andare incontro a rischi enormi di implosione. La situazione economica e sociale si è così deteriorata a causa dell’austerità che è sufficiente che qualcosa vada storto in uno dei grandi stati dell’Ue per produrre un effetto domino dalle conseguenze devastanti.

Più in generale serve un impegno, a cui i cattolici non possono sottrarsi, e al quale l’enciclica Laudato Si’ esorta, per cambiare le priorità della politica, orientandole ad un’ecologia integrale, che tenga insieme la dimensione sociale con quella ambientale e con tutti gli altri obiettivi dello sviluppo sostenibile. Ma per poter fare questo occorrono politiche economiche e monetarie incentrate sull’economia reale, volte a sostenere la domanda interna, a dotare le istituzioni dei mezzi per innescare i necessari cambiamenti del modello economico che la sostenibilità richiede. Occorrono banche centrali più sensibili alle esigenze del lavoro, dell’impresa, delle famiglie, degli investimenti produttivi e strategici e meno a quelle dei colossi economici e finanziari, i quali dispongono dei mezzi per influenzare gli istituti centrali in loro favore, minandone l’indipendenza in modo ormai abituale, anche dopo la crisi finanziaria globale del 2008. Questa è la vera questione della sovranità, che sfugge ai sovranisti nostrani, e che è, in ultima analisi, la causa delle crescenti disuguaglianze e dell’impoverimento delle famiglie, della classe media, dei lavoratori e persino delle istituzioni democratiche.

Bernie Sanders sfoggia sondaggi ottimistici

Ma che sta entrando, ad esempio, in modo dirompente nella campagna elettorale americana in vista delle primarie del Partito Democratico per le presidenziali del prossimo anno. Nella quale sta prendendo piede una decisa relativizzazione e smontatura della questione del debito pubblico, sul quale lucra la speculazione finanziaria internazionale che sottrae agli stati i soldi, dei contribuenti, che servono per il bene della collettività, in favore del recupero della centralità di accorte e responsabili politiche monetarie calibrate in funzione della creazione di lavoro, sviluppo, infrastrutture pubbliche. Il progetto di una nuova politica monetaria, in discontinuità con quella attuale, costituisce parte integrante del programma di Bernie Sanders, l’anziano senatore del Vermont tra i più accreditati candidati alla nomination democratica per sfidare Donald Trump nel 2020.

Qui in Italia invece il massimo del progressismo sembrano essere le sardine, un movimento “contro” che, pur intercettando una reale e diffusa voglia di partecipazione, appare sterile dal punto di vista dei contenuti. Per l’avvenire dell’Italia è di vitale importanza colmare i ritardi dell’Europa a realizzarsi come Paese unito. È auspicabile che si definisca in modo bipartisan una posizione nazionale sul contributo che l’Italia vuole dare alla riforma dell’Eurozona e dell’Unione Europea, proposta che potrebbe scaturire da degli stati generali sull’Europa, da convocare da parte delle istituzioni su tutto il territorio nazionale. Ma occorre prendere atto con realismo, anche se niente affatto con rassegnazione, che le premesse perché ciò avvenga sono molto tenui e il Paese si sta avviando su un crinale oltre il quale, nell’ipotesi migliore, vi è l’ingovernabilità. Stiamo entrando in un’emergenza democratica non perché un’eventuale vittoria del centrodestra la possa provocare, ma perché la situazione sociale ed economica del Paese si sta avvitando su se stessa al punto da far pensare che il futuro sia di quelli che cercano di cavalcare questa crisi senza poterla risolvere. Se è così, anche la Lega e Fratelli d’Italia rischiano di esser travolti in breve tempo da ciò che stanno cavalcando con disinvoltura.

La questione di una nuova stagione di impegno per i cattolici in politica e nella società, dunque, si pone non tanto sui contenitori (nuovi partiti, nuove correnti dentro partiti che già esistono) quanto piuttosto sulla capacità di capire la peculiarità del momento e della fase storica, che è straordinaria e in qualche modo rivelatrice di prossimi grandi rivolgimenti. Questa capacità di leggere i segni dei tempi è il presupposto per poter definire la missione prioritaria e fondamentale, quella di concorrere a realizzare quel “correttivo” che impedisca il ripetersi di tragedie paragonabili per gravità a quelle del Novecento.

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