Spagna, la sinistra alla prova d’appello

Meglio tardi che mai, anche se adesso le condizioni sono peggiori di prima: si può riassumere così quanto sta avvenendo in Spagna per la nascita della nuova coalizione di governo tra Partito socialista e Podemos. Le due formazioni della sinistra iberica dopo le elezioni del 28 aprile scorso, avevano rispettivamente ottenuto 123 e 42 seggi, per un totale di 165, a meno undici dalla maggioranza assoluta (176 seggi). Poteva essere allestita una coalizione di sinistra che mancava dai tempi della Seconda repubblica, prima del golpe di Franco nel 1936, invece non ci fu verso di trovare un accordo e tra preclusioni e veti incrociati si è tornati alle urne.

Il voto del 10 novembre ha concesso una seconda possibilità alla sinistra che oggi assomma 155 seggi, ad una distanza di ventuno seggi dalla fatidica soglia della governabilità. Un passo indietro, anche perché la buona riuscita delle operazioni dipenderà dal ben volere della Sinistra repubblicana catalana (Erc) da ripagare adeguatamente.

Per intanto è giunta l’intesa con Podemos, primo passo per la costruzione della futura maggioranza, sotto forma di un preaccordo di massima sulle cose da fare. Il testo, volutamente generico, parla di lavoro (da far crescere), di fisco (da rendere più equo), di ambiente (da tutelare) e, infine, di Catalogna, cercando soluzioni rispettose della Costituzione. Siamo, insomma, di fronte alla fiera delle ovvietà, perché nessun governo può, ad esempio, pensare di violare la Carta costituzionale nell’affrontare la questione del nazionalismo e nessuno – a meno di chiamarsi Matteo Salvini e di puntare alla flat-tax che premia i redditi più elevati – può volere una fiscalità più iniqua,

Sarà dunque da vedere come si muoveranno i due contraenti al momento di stendere il vero e proprio programma e non limitarsi, come oggi, ad una mera dichiarazione di intenti. Fatto questo, comincerà il difficile. Si tratterà cioè di cercare, uno per uno, i consensi delle forze nazionaliste per raggiungere quota 176 seggi. Ad essere ottimisti può esser dato per certo l’appoggio del nazionalismo moderato. Pnv basco, Blocco gallego, Coalizione canaria, Teruel Existe. Assai più complessa invece la partita con i catalani, per di più in subbuglio a causa della sentenza contro gli indipendentisti e le dure, ed inevitabili, condanne che sono state comminate.

E’ da sottolineare che per la nascita di un governo solo nella prima votazione è richiesta la maggioranza assoluta dei membri del Parlamento. Dalla seconda votazione in poi è sufficiente una maggioranza semplice, ossia che i voti favorevoli superino quelli contrari, non computando le astensioni. In ogni caso, un risultato da non dare per scontato, perché a tutt’oggi Erc, la sola formazione catalana disponibile al dialogo (PdCat e la Cup sono infatti lanciate verso un’indipendentismo unilaterale), sembra propensa al voto negativo, a meno che non si apra la porta ad una soluzione politica del problema.

Unica via di uscita per Pedro Sanchez appellarsi al senso di responsabilità delle forze nazionaliste catalane, ricordando loro che in caso di fallimento si tornerebbe di nuovo alle urne (per la terza volta consecutiva) e l’alleanza conservatrice (Pp-Vox-Ciudadanos) quasi di sicuro sarebbe maggioritaria. Un bel problema per la Catalogna, in quanto la destra pensa di sospendere a tempo indeterminato l’autonomia regionale. Saggio sarebbe quindi astenersi, aprendo ad un governo di sinistra piuttosto che giocare al tanto peggio, tanto meglio.

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