Israele: il risveglio degli arabi-israeliani

La tornata dello scorso 17 settembre – ripetizione di quella di aprile che non aveva prodotto alcuna maggioranza – si è risolta in un nuovo sostanziale pareggio tra destra e centro-sinistra. Uno stallo pressoché identico a quello registrato in primavera.

Il Likud, partito di destra, del premier in carica, Benjamin Netanyahu ha ottenuto 31 seggi, mentre Blu e Bianco, la formazione di centro-sinistra, capitanata dall’ex generale Benny Gantz ne ha invece conquistati 33. Un risicato vantaggio inutile però a dar vita ad una maggioranza, anche perché a livello di coalizione l’ordine si inverte perchè l’alleanza conservatrice con a capo il Likud dispone di 55 seggi, mentre quella riformista si ferma a 43. In ogni caso, entrambe le coalizioni si trovano ben al di sotto di quota 61: maggioranza assoluta di seggi sui 120 totali della Knesset (il Parlamento israeliano).

Possibile arbitro della contesa potrebbe essere la destra laica di Israel Beitenu, guidata da Avigdor Lieberman che però dopo aver boicottato l’alleanza con il Likud in aprile non pare affatto disposta a concedergli il via libera neppure questa volta. Del resto, tra Lieberman, fuoriuscito dal Likud, e Netanyahu c’è più o meno lo stesso feeling che si riscontra tra Matteo Renzi e Massimo D’Alema. Non a caso l’ipotesi che si sta avanzando è quella di un esecutivo di unità nazionale tra Likud, Blu e Bianco e Beitenu, guidato da Gantz, che Lieberman preferisce a Netanyahu, nonostante la minor contiguità politica. Il presidente della Repubblica, Reuven Rivlin ha per intanto incaricato Netanyahu e se dovesse fallire la palla passerebbe a Gantz. Qualora anch’egli gettasse la spugna allora si andrebbe nuovamente alle elezioni: un’opzione che tutti vorrebbero evitare.

Al di là di come sarà risolta la crisi di governo, la vera e significativa novità dell’ultima tornata elettorale è però la discesa in campo dei partiti arabi che, finalmente uniti in una sola lista, hanno conquistato ben 13 seggi, divenendo la terza forza presente in Parlamento. Questa iniziativa unitaria ha contribuito ad accrescere la partecipazione al voto degli arabi-israeliani, si solito inclini all’astensione.

Troppo spesso ci si dimentica che Israele è uno Stato plurinazionale e che accanto alla maggioranza ebraica vi è una minoranza araba (1,2 milioni), erede di quella popolazione palestinese che nel 1948, al momento della nascita dello Stato ebraico, decise di rimanere nella propria terra, anziché disperdersi nei Paesi arabi vicini. Gli arabi-israeliani, a parte l’esenzione dal servizio militare e qualche limitazione nel gestire società di armamenti, sono a pieno titolo cittadini di Israele che, pur tutti i suoi difetti, resta pur sempre la sola autentica democrazia del Medio Oriente.

Oggi pare che la Lista araba unita sia disposta ad appoggiare dall’esterno un governo di centro-sinistra. Un fatto mai avvenuto prima, neppure in presenza di esecutivi di sinistra, perché gli arabi-israeliani sono stati sempre ritenuti delle quinte colonne palestinesi, da tener dunque fuori da qualsiasi maggioranza. E, in tutta risposta, gli arabi si sono sempre mostrati indifferenti a quanto si muoveva nell’arena politica israeliana. Qualcosa sta dunque cambiando. Magari non si approderà a nulla, ma già solo prospettare l’ipotesi di un appoggio esterno è segno di un notevole mutamento. E forse in un futuro neppure troppo lontano gli arabi-israeliani potrebbero trovarsi a giocare un ruolo cerniera nella ricerca di una miglior convivenza tra i due popoli che sono chiamati ad abitare la stessa terra.

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