Nuove avventure e vecchie litanie

Non entro nel merito se è giusto o sbagliato, se è un bene o un male.

Mi riferisco alla nascita di Italia viva, la nuova avventura intrapresa dall’altro Matteo.

Non esprimo giudizi, in quanto io per primo (anni fa, insieme ad un nutrito gruppo di amici ex popolari) ho abbandonato il PD, per vicende locali soprattutto. Perciò non intendo fare prediche del tipo: questo è il momento di unire anzichè dividere, la scissione indebolisce l’esperienza governativa appena nata, la gente non capisce perché un altro partito invece di semplificare, ecc.

Sul mio profilo Facebook mi sono limitato a queste poche considerazioni: A ‘l’ha cagà ‘l gianin. Espressione monferrina (letteralmente: ha espulso il verme dall’intestino) per significare che finalmente si è risolta o chiarita una situazione o che si è sbloccata una tensione tra persone. Ora le cose sono più chiare, anche se per certi versi più complicato procedere allineati e coperti per creare più stabilità.

Lui non potrà più dire che lo limitano e lo emarginano; gli altri non potranno più lamentare gli intralci e la “serpe” in seno. Forse rientrerà la sinistra di LEU; di contro si potrà formare una formazione di centro che raccoglie anche i moderati (e forse una parte di cattolici non convinti dal centro sinistra). Se l’operazione servisse a trattenere i liberal moderati dallo scivolare verso la destra e/o portare delusi di FI verso il centro sarebbe una cosa utile: anche se non è quella la mia casa e la mia prospettiva.

Se il Governo ne guadagnerà o ne sarà azzoppato lo diranno i prossimi mesi.

Resta comunque la necessità (ancor maggiore, per ulteriore chiarezza) di una presenza popolare vera, autentica, schierata e non equidistante o altalenante.

Posso aggiungere che le scelte del fiorentino (e di parte del suo cerchio magico), oltre alla necessità di avere più libertà di azione e di proposta che riteneva non essergli consentita adeguatamente nel PD, mi paiono compiute da un lato per prevenire altre iniziative <di centro> o fra <i moderati> (leggi Calenda, Cairo, o altro ancora compreso uno spostamento da parte di Forza Italia per distinguersi dagli eccessi di Lega, Fratelli d’Italia, e Cambiamo di Toti) e mettere il cappello su una futura evoluzione macroniana, ma per un altro verso la sfrenata ambizione dell’ex Premier di primeggiare ed avere visibilità, il suo non saper giocare di squadra ma di voler fare il capo.

Il rischio è di aver dato vita ad un nuovo partito personale. Potrebbe reggere Italia viva senza Renzi? Sarà contendibile? Ciò non toglie l’esigenza di avere una forza che copra un’area sociale e civile che oggi si sente poco rappresentata.

Qui però il discorso si farebbe lungo e complicato. Il dibattito sul centro, se sia utile, su cosa significhi centro oggi, su quali politiche e alleanze debba privilegiare, può interessare i politologi e gli intellettuali; forse interessa meno le persone, le famiglie, le imprese.

Mi permetto solo di aggiungere che in questi mesi, senza strombazzamenti e senza ovviamente che i mass-media se ne siano accorti o ne abbiano riferito, nel Paese è cresciuto il dibattito e il confronto fra le tante esperienze “popolari” nel tentativo di accorpare e raccogliere attorno ad iniziative e proposte comuni per superare la diaspora e l’irrilevanza di circa 20 anni.

Tutto è avvenuto, nell’anno centenario dell’Appello ai Liberi e Forti, per rilanciare una presenza e un programma democratico-popolare e solidal-riformista: almeno a livello culturale. Ma sarà necessario giungere a darsi un’organizzazione, coinvolgendo associazionismo, volontariato, Terzo Settore, esperienze civiche.

La logica, però, è distante e distinta (per usare uno slogan del passato) da chi realizza un Centro liberal-democratico e moderato (anche se “liberare” chi è nel centrodestra e non vuole seguire gli estremisti è opera meritoria). Serve invece qualcosa di nuovo ma solidale, di valorizzazione delle autonomie, europeista, di ambientalismo integrale e di sviluppo compatibile a supporto anche di lavoro degno, e capace di cambiare i paradigmi economici. Di centro o meno, è irrilevante. Contano i contenuti! Poi resta da valutare se, con il proliferare di sigle che tenderanno ad occupare il Centro politico, sia opportuno indebolire la forza portante del centro sinistra. Il PD è chiamato ad un profondo cambiamento, ma prevedo che se questo ci sarà non vada nella direzione auspicata dal cattolicesimo democratico, che chiede svolte.

Come ha scritto Giuseppe Davicino, su Rinascita Popolare Se c’è un compito sopra tutti che dovrebbe costituire l’elemento aggregante della multiforme galassia di realtà che in qualche modo si riferiscono al cattolicesimo democratico e sociale, questo non può che essere quello di riconciliare la classe media con la democrazia, di riguadagnarne il consenso, decisivo per l’assetto del Paese almeno fino a quando il voto rimarrà “uguale”. Gli strumenti che permettono questa operazione di vitale importanza si chiamano sviluppo, lavoro, welfare, riduzione delle disuguaglianze. Le politiche che ne consentono l’utilizzo, sono quelle espansive dell’economia reale (famiglie, imprese, settore pubblico). Politiche che da un buon decennio non si vedono più in Europa e che attendono che qualcuno si candidi a proporle anziché venire, forse, “ottriate”, concesse dalle oligarchie finanziarie a tempo scaduto, quando potrebbero non servire più ad evitare lo schianto”.

Qualcuno dirà: il solito vecchio discorso da prima stagione della Repubblica. E voglia di rimettere in piedi tutte le vecchie identità del passato col ritorno al proporzionale per ridare voce alla partitocrazia. A me pare che siano altri, al contrario, per dare voce alle oligarchie, che ripropongono vecchie litanie relative all’eterna discussione sulle riforme elettorali invocando il maggioritario “per sapere la sera stessa dopo il voto chi ha vinto e potrà governare per cinque anni”.

Non è il momento né l’occasione per affrontare il discorso; che è serio e complesso. E soprattutto non può essere banalizzato o trattato in modo sbrigativo. Basta leggere le considerazioni di Guido Bodrato (http://www.associazionepopolari.it/APWP/2019/09/17/proporzionale-o-maggioritario-e-per-quale-politica/) o quelle altrettanto valide di Domenico Galbiati (https://www.politicainsieme.com/?p=3093) per comprendere che non sono principalmente le architetture elettorali ma la Politica alta, quella della mediazione e della coalizione, che aiutano a risolvere le eccessive divisioni e lo sbriciolamento della rappresentanza.

Se può servire da esempio, basta guardare al Regno Unito. Dove vige il sistema uninominale e un vincitore c’è sempre. Però, sulla Brexit (dove il popolo ha votato ed espresso un parere maggioritario), in soli 3 anni sono già saltati due Premier e il terzo non si come se la caverà.

Ribadisco: non bastano i numeri, serve la politica!

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