Nasce il Conte bis

Giuseppe Conte torna dunque a palazzo Chigi, alla guida di un tripartito Pd-Leu-M5S. Ventuno in tutto i ministri: dieci pentastellati, nove democratici, uno di Leu ed una personalità tecnica. Questo il quadro dell’esecutivo che, almeno sulla carta, risulta essere quello più di sinistra dell’intera storia repubblicana.

Osservando i principali ministeri troviamo agli Esteri Luigi Di Maio, alla Giustizia Alfonso Bonafede, all’Economia Roberto Gualtieri, presidente della commissione Finanze dell’Europarlamento, alle Infrastrutture Paola De Micheli vicesegretaria Pd, alla Difesa, Lorenzo Guerini. Agli Interni approda il prefetto Luciana Lamorgese, in grado, dopo gli eccessi salviniani, di spoliticizzare la gestione dell’ordine pubblico.

Questa crisi di governo, inspiegabilmente aperta dal leader leghista Matteo Salvini, ha fatto tornare in primo piano Matteo Renzi e Beppe Grillo. L’ex premier con l’apertura ai 5 Stelle ha convinto il Pd a far nascere la maggioranza giallo-rossa, evitando al Paese un’improvvida tornata elettorale che avrebbe potuto mettere a rischio le normali tempistiche della legge di bilancio e farci andare all’esercizio provvisorio. Il comico genovese ha fatto capire ai militanti pentastellati la grande opportunità potenzialmente offerta da un’intesa con il Pd. Poi è giunto il voto degli iscritti pentastellati sulla piattaforma Rousseau che a larghissima maggioranza hanno approvato questo nuovo corso politico.

In pratica è come se le lancette dell’orologio fossero tornare alla primavera del 2013. Allora, dopo le elezioni politiche che videro la vittoria dimezzata del Pd (in maggioranza alla Camera ma non al Senato), vi fu il tentativo del segretario dem Pierluigi Bersani di mettere in piedi un progetto politico con i grillini. Tutto sfumò per la loro assoluta incapacità di accettare qualsiasi mediazione e così andò in soffitta la prospettiva di un governo di sinistra, che mai, come in quella occasione, avrebbe avuto la possibilità di materializzarsi.

Oggi le vicende della politica tornano in qualche modo a dar spazio ad una prospettiva di forte caratura riformatrice. Non è facile capire cosa ne sortirà. Per intanto le tre formazioni che sostengono il nuovo esecutivo hanno elencato in 29 punti le loro priorità. Tra i temi più importanti emergono l’istituzione del salario minimo per legge, la promozione della green economy, maggiori investimenti sulla scuola, la riduzione del cuneo fiscale, una riforma tributaria in linea con la progressività del sistema (niente tassa piatta).

Nei prossimi giorni il governo si presenterà in Parlamento per il voto di fiducia. Alla Camera la maggioranza è sufficientemente ampia, al Senato i numeri sono un po’ più ballerini. Se tutto filerà liscio, nelle prossime settimane si comincerà a predisporre la legge di bilancio e far quadrare i conti senza aumentare l’Iva non sarà per niente facile.

Di certo occorre ritrovare un nuovo protagonismo in ambito europeo, uscendo da quel clima di perenne scontro con le istituzioni comunitarie che tanto ci ha penalizzato col precedente esecutivo giallo-verde. Solo un ruolo attivo nel processo di integrazione potrà far contare di più il nostro Paese in Europa, su molteplici temi di interesse comune: dalla gestione dei flussi migratori allo scorporo degli investimenti dai livelli di deficit. Il rapporto con l’Unione europea è decisivo, perché è lì che si decide il nostro futuro.

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