Elezioni o nuovo governo, al centrosinistra comunque serve un piano per il Paese all’insegna della sostenibilità

Presto dallo scontro tra tatticismi esasperati, bluff e concreti calcoli su quanto convenga ai singoli gruppi andare al voto anticipato, e dalle decisioni che sono prerogativa del Quirinale si capirà se per la prima volta nella storia dell’Italia repubblicana si avranno le elezioni politiche in autunno oppure se al naufragio del “governo del cambiamento” seguirà un nuovo esecutivo e di quale natura.

In qualunque caso per le forze di centro e di sinistra alternative alla destra risulterà ineludibile il tema della definizione di un progetto per il Paese, essendo le sole frecce del pur reale pericolo della destra, della riduzione del numero dei parlamentari, del cambio della legge elettorale delle armi spuntate nei confronti dell’attuale emergenza sociale ed economica, e questo vale sia per un’eventuale campagna elettorale, sia per un nuovo governo a termine e di piccolo cabotaggio anziché di un esecutivo che intenda cogliere la sfida del cambiamento.

Una larga maggioranza degli elettori, infatti, costituita dalle famiglie, dai lavoratori e dalle imprese, da quella classe media che si impoverisce chiede qualcosa di profondamente diverso e nel contempo antico: che la politica torni ad assumersi le proprie responsabilità in ordine alla costruzione di una prospettiva di sviluppo e di speranza, di un’idea di Paese di ampio respiro in un quadro di solidarietà e di discussione franca dei problemi in sede europea.

Il campo riformatore e progressista, se vuole mirare a riguadagnarsi la considerazione e il consenso dei ceti popolari, anziché guardarli sdegnosamente dall’alto in basso come “popolino”, in virtù di una concezione oligarchica della democrazia secondo cui quest’ultima riguarderebbe solo l’alta borghesia, deve ripartire dalla questione sociale nei nuovi e complessi termini in cui essa si presenta ma che sono evidenti nella loro gravità, a condizione che gli si riservi una adeguata attenzione. Scommettendo e facendo un forte investimento sul fatto che i rimedi allo stato di disagio profondo e dilagante in cui versa la classe media e l’agenda dello sviluppo sostenibile sono destinati ad incrociarsi in modo proficuo non appena la sostenibilità venga interpretata in modo non burocratico e per pochi addetti ai lavori bensì come forza catalizzatrice di cruciali scelte politiche che riguardano l’avvenire di tutti.

Gli obiettivi dello sviluppo sostenibile possono incidere nella definizione delle priorità e delle scelte di bilancio e contribuire a definire un piano per il Paese di ampio respiro con adeguati investimenti: dalla messa in sicurezza dei territori e degli edifici dai rischi sismici e idrogeologici alla progettazione di infrastrutture ecosostenibili, dalla transizione energetica al sostegno alla ricerca su nuove forme di energia pulita, ridando slancio, ad esempio, agli studi sulla fusione a freddo in cui il nostro Paese eccelle; da una nuova politica salariale adeguata ai cambiamenti del mercato del lavoro al potenziamento delle infrastrutture della conoscenza fruibili da tutti e per la sicurezza sociale a cominciare dalla lotta alla povertà. Un programma che riaffermi il primato della crescita sostenibile su quello del contenimento dell’inflazione, che in questi anni ha finito per provocare una deflazione permanente, che ha fatto aumentare le disuguaglianze, e che si configura come tra le principali cause dell’esplosione dei populismi.

Per essere credibili per una tale svolta occorre impegnarsi a sostenerla nelle sedi istituzionali dell’Unione Europea, facendo leva sul fatto che l’apertura di un nuovo ciclo economico espansivo costituisce una priorità per tutti i Paesi membri nonché la condizione imprescindibile per il rilancio del progetto europeo. Anche gli inevitabili sacrifici che pure servono a tenere insieme economie e sistemi sociali così diversi, di cui l’Ue si compone, dalle latitudini artiche a quelle mediterranee, si rendono giustificabili solo in presenza di un percorso definito che è compito dei nuovi organi comunitari all’inizio del loro mandato avviare a compimento. Non è possibile che la sola data certa sul futuro europeo riguardi la Grecia che dovrà applicare una severa austerità fino al 2060 (anche per il nefasto influsso esercitato dall’azione di certi tecnocrati provenienti dall’estero), e non vi sia almeno a livello di discussione alcun riferimento riguardo alla data in cui collocare il fondamentale passaggio alla messa in comune del debito, preludio e fondamento dello stato unitario europeo. Le forze popolari e riformatrici alternative alla destra sono pronte ad accogliere una tale sfida, a farsi portatori di un credibile piano per il Paese, attraverso uno sviluppo sostenibile ed equo? Saranno capaci di individuare per la guida di un eventuale governo di legislatura una figura autorevole di grandi relazioni comunitarie e internazionali e allo stesso tempo con profonda conoscenza delle dinamiche sociali ed economiche che percorrono il nostro variegato Paese, e consapevole del ruolo strategico dei corpi intermedi?

Se lo sono, non si ritroveranno più spiazzate sia in caso di elezioni subito, sia in caso di un governo dagli obiettivi ambiziosi destinato a durare per il tempo rimanente della legislatura all’insegna della sostenibilità come chiave per rispondere alla nuova questione sociale.

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