Erbstein, un uomo dimenticato

Come abbiamo avuto modo di accennare in un altro articolo (Alle nate e ai nati del 2019), in quest’anno ricco di ricorrenze tonde, si sono ricordati anche i settant’anni dalla tragedia di Superga, avvenuta il 4 maggio 1949, quando, ai piedi della monumentale basilica juvarriana che domina la collina torinese (costruita ex voto per celebrare la vittoria austro-piemontese del 1706, contro le truppe francesi di Luigi XIV), si schiantò l’aereo del Grande Torino, la mitica squadra di calcio che dominò il campionato italiano negli anni a seguire la seconda guerra mondiale. Essendo la ricorrenza “esatta”, molti sono stati i ricordi, tutti appassionati, tra i quali anche quello dei tifosi juventini, buon segno per ribadire che la rivalità deve esserci solo sul campo da gioco e che deve essere sempre sana e solo sportiva.

Tra le vittime non solo i giocatori (tra cui il più rappresentativo era il capitano Valentino Mazzola, appena trentenne, al quale Poste Italiane ha dedicato un francobollo nel centenario della sua nascita, nel 1919, giusto cent’anni fa), ma anche l’equipaggio dell’aereo, dirigenti, staff, giornalisti e pure un uomo pressoché dimenticato: Erno Egri Erbstein, il vero e proprio artefice tecnico di quella squadra, non solo l’allenatore. A colmare il vuoto di memoria, proprio quest’anno provvede la traduzione italiana di una sua biografia del 2014: “Erno Egri Erbstein. Trionfo e tragedia dell’artefice del Grande Torino”, del giornalista londinese Dominic Bliss, certamente non casualmente pubblicato per i tipi di Cairo, l’editore che è anche l’attuale presidente del Torino Calcio.

Il libro merita una lettura per molti motivi: gli appassionati di calcio avranno modo di riflettere su tecniche e metodi storici di gioco, i tifosi del Toro potranno ripercorrere le tappe che portarono alla costruzione di quella squadra e ai suoi trionfi,… ma è la ricostruzione della vita di questo poliedrico uomo che vale particolarmente l’attenzione. Erbstein, giocatore ungherese di calcio ed ebreo, attraversa tutte le vicissitudini di un europeo dell’ Est, di uno stato smembrato talvolta senza criterio (l’Impero austro-ungarico) e di cultura ebraica, che deve emigrare, vincere i sospetti e i pregiudizi, che finalmente trova il successo in Italia, infine a Torino, ma prima anche in altre città e squadre calcistiche italiane, e che, quando sta per raccogliere i meritati frutti del suo lavoro, a causa delle famigerate leggi razziali del 1938, deve abbandonare tutto. A questo punto la biografia diventa romanzo: il tentativo di espatrio in Olanda, ma il paese rifiuta la sua accoglienza e quella della sua famiglia; il pericoloso viaggio di rientro in Ungheria, col rischio di non completarlo e di essere internato nella Germania nazista; gli anni difficili di sopravvivenza nel suo paese di origine, allora alleato dei tedeschi e, quindi, allineato su posizioni antisemite; il miracoloso scampato pericolo dalle SS e dai campi di sterminio (raccontato attraverso i ricordi della sua primogenita Susanna, la nota danzatrice e coreografa),…. e così via, fino al ritorno in Italia e al difficile ricongiungimento con la sua famiglia, rimasta in Ungheria, alla quale la “cortina di ferro” rendeva arduo l’espatrio,… solo per citare alcuni argomenti trattati, spesso con grande pathos e commozione.

Non solo i “calciofili granata” (il colore delle maglie del Toro), apprezzeranno lo “spirito di gruppo” che Erno seppe creare per costruire quella grande squadra: “Fair play, sorridere, passare la palla”, tanto da far dire ad un suo giocatore, che divenne poi giornalista e attore famoso (Raf Vallone) che: “Dalle nostre vittorie nacque un modo di dire: <Una muta di cervi guidata da un leone è più forte di una muta di leoni guidata da un cervo>”.

Un’opera che rende il giusto omaggio ad un uomo immeritatamente troppo dimenticato, sullo sfondo della quale si muove l’altro grande artefice di quel grande Toro, il presidente Ferruccio Novo, che aiutò sempre Erno, anche negli anni difficili, sfidando le leggi fasciste che gli avrebbero impedito di farlo: un’altra figura poco ricordata, che meriterebbe una maggiore memoria. Chissà?

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