Il ritorno al “mondo di prima”

È interessante osservare il modo in cui dalla prospettiva globalista si guarda ai nuovi equilibri nel rapporto tra Italia e Unione Europea. Ci aiuta a comprendere meglio ciò che è in gioco in questi anni e a valutare l’adeguatezza delle forze politiche.

Indicativo a tal proposito è l’editoriale di un fedele interprete della visione e degli interessi nazionali(-sti) tedeschi e della finanza speculativa internazionale, Federico Fubini. Il vice direttore del Corriere celebra il trionfo dell’asse tedesco-francese nei confronti di un’ Italia che solo un anno fa sperava di poter rinascere, spiegando che con i nuovi equilibri che si sono determinati in seguito alle elezioni europee e alle nomine dei vertici europei, le idee che hanno guidato la primavera italiana, dal 4 dicembre 2016 al 4 marzo 2018, sono “ finite fuori gioco”, tramontate, ritirate, uscite di scena. E così – si rinfranca il consigliere di Open Society Europe – “siamo tornati al mondo di prima”. A quel mondo a cui all’Italia è riservato il ruolo di donatore di sangue al neo-imperialismo mercantilista della Germania nella sua dissennata sfida all’egemonia americana, una sfida già persa in partenza, ma, come (non) insegnano i precedenti storici, del cui esito l’Italia si accorgerà solo a disastro compiuto.

Dunque, se siamo tornati al “mondo di prima”, come sostiene Fubini, non ci resta che lasciarci avvolgere alla sindrome di Stoccolma, dicendo che ciò che ci tortura e ci blocca la crescita, l’austerità, è cosa molto buona, che i problemi economici sono causati dal non essere virtuosi come i tedeschi o gli olandesi, dagli imprenditori che non investono e dai lavoratori che non producono. Ineffabili le sue testuali parole: “Addossare la crescita zero all’austerità ormai è una scusa pigra, perché l’Europa non la chiede più. Chiede solo di limare il deficit pian piano”. Pian piano, con la soavità del fiscal compact a botte di 50 miliardi l’anno sottratti alla crescita, di continuare a fare avanzo primario per decenni, soffocando la domanda interna, cancellando posti di lavoro, facendo chiudere negozi e imprese, aumentando povertà, disoccupazione e disuguaglianze.

Però vi è un passaggio di questo editoriale, nel quale Fubini intende dimostrare che il governo “populista” in realtà pratica le medesime sanguinose politiche di austerità dell’ancien régime Pd-montiano, che è assolutamente veritiero e che suona come un de profundis su M5S e Lega e su tutte quelle forze – presenti e future – cattoliche, socialiste, ambientaliste, variamente di centro o di sinistra, che volessero rimanere inchiodate al “mondo di prima”.

Ciò che di seguito osserva Fubini che si prende pure beffa di chi sta facendo il lavoro sporco di attuare le ricette economiche che lui stesso sostiene, appare difficilmente confutabile:

“Per la seconda volta in sette mesi il governo si è persino piegato alle richieste di Bruxelles e ha limato il deficit rispetto ai propri piani, per un totale di una ventina di miliardi se si sommano gli episodi di dicembre e di luglio. In modo limitato ma indicativo, governo e maggioranza hanno persino accettato di congelare spese per circa due miliardi (parte all’Istruzione, parte alla Difesa, ma soprattutto incentivi e sostegni alle imprese)   benché l’economia sia ferma. In sostanza, pur di far tornare i conti, il governo ha stretto la cinghia in piena fase di stagnazione del Paese: una versione più o meno diluita di quella stessa austerità che i partiti di governo demonizzavano fino a ieri. I mercati ne hanno concluso che i sovranisti abbaiano ma non mordono, almeno nelle questioni di bilancio. Ora si aspettano che anche la cosiddetta «flat tax» alla fine si dimostri un dispositivo leggero e il governo in autunno eviti salti nel buio”.

Rimane un piccolo particolare. Quando arriveranno le prossime elezioni chi spiegherà alla maggioranza, assoluta, degli elettori che hanno creduto di aver votato per il cambiamento, per un cambiamento di epoca e di paradigma, che invece è tornato il “mondo di prima”? Esiste qualche forza politica di stampo democratico e costituzionale capace di raccogliere l’eredità di una “rivoluzione”, una trasformazione complessiva del sistema, tradita? Lo spartiacque fondamentale nella politica italiana dei prossimi anni ( o mesi) che ci separano dalle elezioni è tra chi si compiace del ritorno al mondo di prima e chi, al contrario, lo considera una sicura garanzia di disfacimento economico e sociale, con ripercussioni serissime sulla democrazia.

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