Cattolici in politica, non isolati ma nel campo solidale

In queste settimane da molte parti sta tornando prepotente il dibattito sul ruolo politico dei cattolici. Da tempo si disquisisce sull’irrilevanza del cattolicesimo all’interno dell’agone politico e sulla necessità di dare non solo un segnale, ma addirittura costruire un contenitore che risponda alle esigenze di chi non si riconosce nelle attuali proposte o di chi si è rifugiato nell’astensionismo.

Articoli sui giornali, incontri, anche telefonate che sollecitano a riprendere attività e impegni, ad aderire a proposte che si vanno via via mettendo insieme per rilanciare una presenza; del resto fra le tante culture politiche “tradizionali” e quelle più “nuoviste” pare, a prima vista, mancare proprio una presenza cattolico democratica.

Va tuttavia ricordato che se una qualche irrilevanza del cattolicesimo politico è facilmente individuabile, se solo si pensa alle sigle, agli slogan, agli spunti programmatici che propongono altro rispetto al pensiero cui la tradizione democratico cristiana o popolare ci aveva abituati, è anche da notare che il ruolo di persone (facenti riferimento a quei valori) non è mai stato assente neanche in questi ultimi anni: basti pensare che il Capo dello Stato è un autorevole esponente di quella tradizione, che Ministri, o Presidenti o Vice presidenti delle Assemblee legislative erano pure rappresentanti qualificati di quel mondo (Casini, Marini, Bindi, Castagnetti, Franceschini, Lupi, ecc.). Forse ciò che più manca è una presenza più collettiva.

Del resto si è dovuto prendere atto che i consensi attorno ad una forza politica “identitaria” non consentivano di misurarsi elettoralmente in modo dignitoso con altre realtà più attrattive per i votanti. I non pochi tentativi messi in campo hanno sempre prodotto esiti deludenti. Ora c’è chi immagina che, la crisi di Forza Italia da una parte e un PD che arranca per ritornare a livelli dignitosi, possa consentire al <centro> un futuro promettente: In teoria potrebbe esservi lo spazio per due formazioni di ispirazione cristiana, una conservatrice e l’altra riformista. Ciascuna con un potenziale bacino di voti da situarsi attorno al 10 per cento dei voti e capaci di influenzare i rispettivi e più forti alleati. Potrebbe però anche immaginarsi un’unione di queste due componenti, quella più conservatrice e quella più riformista che, assieme, sarebbero in grado di totalizzare un consenso tra il 18 e il 20 per cento”. Chiediamoci: di ispirazione cristiana oppure miscelata col moderatismo? Una forza che raccoglie Calenda, Renzi, Più Europa, e ciò che resta (se esiste ancora) del Nuovo Centro Destra? E’ davvero questo ciò che aspettano molti incerti e delusi?

Allora mi permetto, scusandomi per quella che può sembrare una forzatura se non addirittura una <eresia>, di fare un salto indietro di quasi duecento anni. Perché? Perché, se è vero che l’esperienza della Democrazia Cristiana e del Popolarismo (anche a livello mondiale) è stata una novità importante, che ha permesso di realizzare riforme e di avanzare sulla via della democrazia, vi è stato un periodo in cui i cattolici hanno saputo schierarsi per il bene comune al di là delle appartenenze religiose o di cultura politica (non ancora esistente così come la conosciamo noi): era il periodo dei Gioberti e dei Rosmini, dei Manzoni, dei Pellico, dei Balbo, dei Capponi e Lambruschini, ecc. Tutti diedero il contributo al Risorgimento, alla marcia progressiva verso l’unificazione della Penisola. Poi sappiamo che fu la <questione romana> la vicenda che portò il cattolicesimo al non expedit, e all’intransigentismo. Di lì è nata una storia diversa, la quale ha portato, per assestamenti successivi, alla nascita di forze politiche basate anche sull’ideologia.

Perché ho voluto fare questo riferimento al passato remoto? Per affermare semplicemente che, se Sturzo (e altri con lui e dopo di lui) è stato un gigante del pensiero politico e della capacità di proporre forme nuove di presenza per i liberi e forti, superando anche l’aggregazione confessionale sul piano politico pur avendo presente l’importanza della Dottrina Sociale (non a caso si era formato negli anni delle Rerum Novarum), c’è stato un tempo in cui i cattolici hanno saputo apportare, mescolati ad altri, il proprio contributo allo sviluppo del Paese, ad un progetto di nazione senza venir meno ai loro valori e alla testimonianza della loro fede.

Ora, io reputo che sia anche questo il momento di non attardarsi troppo su schemi del recente passato. Tanti di noi, e io non sono da meno, hanno nostalgia per i tempi aurei del cattolicesimo politico e per una presenza significativa che non va rimossa o messa nei ripostigli; ma dobbiamo ricordare che l’Ulivo prima, e lo stesso PD poi, volevano superare modalità che la nuova stagione non consentiva più di continuare. Volevano essere, quelle esperienze, un andare oltre anche come tentativo di guardare con occhi nuovi alle sfide globali nuove, e mettersi al servizio del bene comune insieme a quanti condividono le stesse istanze. Ai cattolici lo chiedeva anche l’approfondimento del Concilio: I laici [..] come cittadini devono cooperare con gli altri cittadini secondo la specifica competenza e sotto la propria responsabilità; dappertutto e in ogni cosa devono cercare la giustizia del regno di Dio”. (Apostolato dei Laici, 7) – “Tutti i cristiani devono prendere coscienza della propria speciale vocazione nella comunità politica; essi devono essere d’esempio, sviluppando in se stessi il senso della responsabilità e la dedizione al bene comune.[..] In ciò che concerne l’organizzazione delle cose terrene, devono ammettere la legittima molteplicità e diversità delle opzioni temporali . (Gaudium et Spes 75) – “È di grande importanza, soprattutto in una società pluralista, che si abbia una giusta visione dei rapporti tra la comunità politica e la Chiesa e che si faccia una chiara distinzione tra le azioni che i fedeli, individualmente o in gruppo, compiono in proprio nome, come cittadini, guidati dalla loro coscienza cristiana, e le azioni che essi compiono in nome della Chiesa in comunione con i loro pastori (Gaudium et Spes, 76).

Pertanto, senza negare la possibilità che i cattolici democratici (quelli moderati o conservatori troveranno altre modalità) possano organizzare una presenza comune (anzi la auspico!) e pur in presenza di leggi elettorali proporzionali e favorevoli a raggruppamenti indentitari, io ritengo che questo tempo richieda lo sforzo di restare anche organizzativamente collegati fra quanti hanno obiettivi comuni sulle grandi questioni da affrontare: il clima, il lavoro e le regole da imporre a livello generale, il welfare da ripensare ma non da ridurre, la rivoluzione digitale, le migrazioni cui dare sbocchi di integrazione e risposte civili, l’Europa da rilanciare e da democratizzare togliendola ai Capi di Stato e di Governo, le politiche di natalità e di supporto alle realtà famigliari, ricostruire i corpi intermedi e dare spazio alla partecipazione, la politica di pace. Ripartire dai contenuti, da un programma, più che dal contenitore.

Oggi l’Italia, ma in generale il modo occidentale, è in crisi di democrazia vera, reale, sostanziale; vede un consenso significativo per ciò che viene definito sovranismo e populismo, ma anche per il decisionismo, la semplificazione del linguaggio e una certo muscolarismo. Se per mettere in crisi tutto questo è sufficiente il ritorno di una nuova DC, bene, evviva! Mi associo. Temo però che serva molto altro e soprattutto la fine delle divisioni nel campo riformista, una nuova classe dirigente e la capacità di un progetto che ridia fiducia e aiuti a ricreare un clima comunitario e di solidarietà sociale. E la strada non è né semplice né breve.

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