Oltre la stagione del maggioritario, una nuova legge elettorale per salvare il bipolarismo

Il destino dell’attuale legge elettorale dipenderà dall’esito del voto di fiducia al governo previsto per il prossimo 14 dicembre. Solo una sfiducia del governo Berlusconi in entrambe le Camere lascerebbe aperta la strada di un governo “tecnico” tra i cui compiti vi sarebbe anche quello di riformare la legge elettorale. Ma se una eventualità di questo tipo dovesse concretizzarsi, le attuali forze di opposizione, insieme ai post-fascisti di Futuro e Libertà, si troverebbero a ricercare una difficile intesa per una nuova legge elettorale. Nel centro-sinistra al riguardo vi sono opinioni diverse, come anche dentro il Partito Democratico, e con ogni probabilità ne sortirebbe una legge frutto di mediazioni, convenienze, tatticismi simile o peggiore del vecchio mattarellum (75% maggioritario secco, 25% proporzionale).

In realtà ci sono buone ragioni per ritenere che la “frittata” sia già stata fatta e che sarà molto arduo riorganizzare il sistema politico italiano che, dopo la profonda crisi dei partiti figli del sistema proporzionale, si è andato via via disarticolando e sbriciolando sotto i colpi di sistemi elettorali inadatti al nostro Paese e talora anche di dubbia costituzionalità e legittimità democratica (vedasi l’attuale porcellum che nega al corpo elettorale il diritto di scelta dei candidati ed impone un premio di maggioranza in una misura più sfrontata addirittura di quella della legge Acerbo).

Se l’on. Berlusconi otterrà la fiducia si terrà ben stretta l’attuale legge elettorale, che conviene anche al suo maggiore alleato. Pdl e Lega potrebbero cambiare opinione solo per imbarcare nella compagine governativa anche le forze centriste.

E l’attuale opposizione appare ancora molto lontana dal riconoscere gli errori strategici compiuti negli ultimi vent’anni in materia di legge elettorale. Vi sono stati, infatti, alcuni grandi errori di valutazione. Il primo riguarda soprattutto le forze della sinistra storica, di tradizione comunista, da sempre assertrici del sistema proporzionale e contrarie anche a parziali elementi di maggioritario, come nel caso della cosiddetta “legge truffa” del 1953, che prevedeva sì l’obbrobrio del “premio di maggioranza”, ma solo alla coalizione che avesse ottenuto la maggioranza assoluta dei voti (ed in ciò risultava meno illiberale dell’attuale legge con cui si è votato nel 2006 e nel 2008 che assegna il premio di maggioranza in ogni caso). Gran parte della sinistra all’inizio degli anni Novanta si è lasciata abbagliare dai miraggi del maggioritario, illudendosi che i voti che le mancavano (e che tuttora le mancano) per divenire maggioranza nel Paese, le potessero arrivare da leggi elettorali “miracolose” che trasformano in maggioranza di seggi la minoranza dei propri voti, anziché dalla capacità di coagulare il consenso della maggioranza degli Italiani attorno ad un progetto politico convincente.

Sappiamo come è finita. Senza il sistema elettorale maggioritario ben difficilmente l’on. Berlusconi negli ultimi sedici anni avrebbe potuto esercitare il ruolo di dominus della politica italiana. Ma il prezzo del maggioritario, se possibile è stato più alto di questo. Infatti, nello stesso periodo sono andati in frantumi i partiti fondati su differenti culture politiche, sostituiti da un pulviscolo di partiti-azienda, partiti-persona, partiti-giornale, ecc. Al punto che l’elettorato è rimasto frastornato e risulta sempre più difficile capire per chi e per che cosa si vota.

Ma a questi problemi come hanno reagito le forze di centro-sinistra? Dispiace doverlo constatare, ma molto spesso accanto ad una preoccupazione espressa nelle posizioni ufficiali sui rischi di una “deriva plebiscitaria”, tali processi sono stati assecondati, quando non accelerati. Se il Pds e la sinistra democristiana inventarono il mattarellum, fu il governo D’Alema a consentire l’inserimento del nome del leader nel simbolo elettorale, dando in questo modo un decisivo contributo alla personalizzazione della politica, e ad abrogare il voto di conferma da parte del Consiglio regionale, dell’elezione del presidente di regione, rendendo il sistema elettorale regionale ancor più “presidenzialista”.

Tutto ciò, insieme alla legge elettorale dei comuni e delle province (pur senza nessuna nostalgia della situazione precedente), ha contribuito a creare, a partire dagli Enti Locali, una mentalità “presidenzialista” molto diffusa, che non potrà che influire anche sul dibattito relativo al cambiamento  della forma di governo.

Da questi ed altri elementi si ricava oggi la percezione che si stia chiudendo un’epoca. Siamo al crepuscolo della cosiddetta “seconda repubblica”, o perlomeno al fallimento del maggioritario che ben difficilmente potrà sopravvivere alla persin troppo lunga stagione berlusconiana. Il maggioritario (col mattarellum, col porcellum, con i sistemi elettorali per gli Enti Locali) ha fallito nelle tre cose che prometteva:

superamento della questione morale: la crisi dei partiti e la personalizzazione della politica hanno accentuato i comportamenti negativi e penalizzano i politici onesti.

Ma il maggioritario ha fallito anche sulla governabilità. Il rafforzamento della governabilità, così tanto enfatizzato da molti fautori del maggioritario, si è rivelato un miraggio. Oggi assistiamo allo sfaldamento di una Maggioranza che era molto ampia.

Infine, il maggioritario ha fallito anche nella promessa di un bipolarismo vero. Forse, in questi anni, l’illusione più grande è stata quella di credere che fosse possibile rafforzare il bipolarismo affidandosi solo al cambiamento della legge elettorale anziché alla costruzione di due progetti politici veramente alternativi.

Il dibattito sulla legge elettorale contribuirà ad avviare una nuova fase politica, che comunque sta nascendo dalla fine dell’epoca berlusconiana e dal fallimento del maggioritario, solo se uscirà dai tatticismi e dalle convenienze del momento per saldarsi invece con un progetto politico di rinnovamento di ampio respiro.

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