Europa (in)sostenibile

Ogni anno in Europa il 20% del cibo viene sprecato. Questo è solo uno dei molti dati statistici che dimostrano come la strada della sostenibilità e dell’ecocompatibilità delle nazioni europee sia ancora lunga.

Intendiamoci, l’Unione europea (UE) ha già oggi dei livelli di qualità ambientale tra i più elevati al mondo, si potrebbe dire i migliori, grazie ad anni di politiche attente alle questioni ecologiche, che sono poi state recepite anche dalle singole nazioni. Ma dobbiamo fare di più, primo perché l’impegno profuso è ancora largamente insufficiente, secondo perché l’UE, avanzata tecnologicamente e socialmente, deve assumere un ruolo-guida su queste tematiche, per indicare la via alle nazioni meno sviluppate e per convincere i grandi inquinatori – leggi USA e Cina – a impegnarsi maggiormente per la tutela del pianeta.

È importante sottolineare, come hanno capito bene i giovani del movimento Fridays For Future (FFF), che la questione ecologica non è argomento per ambientalisti e scienziati, ma qualcosa di fondamentale per tutti, perché la qualità della vita è strettamente connessa alla qualità dell’ambiente che ci circonda. Oggi in modo particolare, dal momento che, dopo decenni di allarmi e moniti inascoltati, dovrebbe ormai essere evidente a tutti che la situazione sta diventando critica.

Semplificando, possiamo indicare tre grandi problematiche: inquinamento; consumo insostenibile delle risorse; riscaldamento globale, causa prima dei mutamenti climatici. Parallelamente, si possono individuare tre modalità di intervento: messa al bando (graduale, ma decisa) delle sostanze inquinanti, in primis la plastica, elemento non biodegradabile che sta invadendo ogni anfratto del pianeta; economia circolare, in grado di riutilizzare i “rifiuti” riciclandoli e trasformandoli in “materie prime seconde”; sostituzione delle fonti di energia fossile con quelle rinnovabili, tenendo a mente che, comunque, la fonte di energia più economica ed ecologica è il risparmio energetico.

La legislazione dell’UE è già parzialmente orientata in questo senso, con norme che tutelano gli habitat naturali, mantengono pulite acqua, aria e terreni, si occupano della corretta gestione dei rifiuti e delle sostanze tossiche, tracciano le linee guida per uno sviluppo sostenibile. Senza dimenticare il ruolo che l’Europa ha assunto nella battaglia contro i cambiamenti climatici, in particolare spingendo per la stesura, la ratifica e l’attuazione dell’Accordo di Parigi per la riduzione delle emissioni di gas-serra, responsabili del riscaldamento globale.

L’impegno per «un livello elevato di tutela dell’ambiente e il miglioramento della sua qualità» è scritto nero su bianco nell’articolo 3 del trattato sull’Unione europea, con un percorso articolato su tre traguardi, al 2020, al 2030 e al 2050. Sono previste azioni di conservazione delle ultime oasi di naturalezza in un continente fortemente antropizzato; la ristrutturazione dei processi produttivi per aumentare l’efficienza e abbattere le emissioni di anidride carbonica; la tutela della salute dei cittadini con la messa al bando degli inquinanti; la riconversione del comparto energetico e di quello della mobilità verso una maggiore efficienza e un minore utilizzo di combustibili fossili, per renderli maggiormente ecosostenibili.

Uno sforzo apprezzabile, ma ancora insufficiente rispetto all’emergenza ambientale in corso. La strategia finora adottata dall’UE, che prevede linee di intervento diversificate per fronteggiare le molteplici emergenze ambientali, andrebbe implementata. È questa la richiesta delle associazioni ecologiste che, mentre continuano nella loro opera di sensibilizzazione dell’opinione pubblica, cercano di esercitare pressione sui decisori politici proponendo incessantemente appelli e mozioni. Esattamente come hanno provato a fare i ragazzi di FFF, manifestando il venerdì precedente alla tornata elettorale europea.

Ma a guardare al risultato elettorale, che premia largamente forze politiche che non hanno mai dimostrato grande sensibilità ambientale, sembra di capire che la maggioranza dei cittadini non abbia ancora compreso l’importanza e l’urgenza della posta in palio. Anzi, ora che la tendenza pare privilegiare quelle forze che pensano agli interessi particolari piuttosto che a una politica unitaria, appare ancora più difficile coordinare gli sforzi per arrestare i cambiamenti climatici, problema di rilevanza globale che nessuna nazione può fronteggiare singolarmente.

Nonostante ciò, anzi a maggior ragione, scienziati, ambientalisti, attivisti e, non ultimi, i ragazzi del movimento FFF, dovranno portare avanti le loro rivendicazioni nei confronti dei rappresentanti dei cittadini entrati al Parlamento europeo con questa tornata elettorale.

Le richieste sono molteplici, a titolo di esempio citiamo quelle relative a un comparto produttivo fondamentale, quello agricolo e zootecnico, che fornisce cibo in sovrabbondanza agli abitanti dell’Unione, ma non sempre in modo ecosostenibile ed efficiente. Basti dire che, secondo un rapporto Eurostat del 2016, un cittadino su dieci dell’UE riusciva a garantirsi un pasto di qualità solo un giorno sì e uno no, pur a fronte degli enormi sprechi che abbiamo rilevato all’inizio di questo articolo.

Occorre una marcata svolta nelle politiche agricole, specie tenendo conto che nel decennio compreso fra il 2003 e il 2013 ha chiuso un’azienda su quattro. Occorre stornare i finanziamenti alle grandi imprese agricole e ridistribuirli alle piccole aziende, sostenendole in una complessa transizione verso le produzioni biologiche. Questo per evitare storture come quelle denunciate da Greenpeace che, incrociando i dati, ha potuto osservare come gran parte dei finanziamenti fosse concentrata sugli allevamenti massivi, che sono anche quelli che producono enormi quantità di ammoniaca, sostanza nociva per acque e terreni agricoli. È imperativo ridurre i contributi a chi inquina ed elargirli a chi cerca di rinaturalizzare suoli e processi produttivi, per tutelare la nostra salute, l’ambiente e le stesse rese agricole.

Discorso analogo vale per gli OGM, gli Organismi Geneticamente Modificati di proprietà delle multinazionali e destinati alle monoculture industriali. Non è ancora ben chiaro se il loro utilizzo possa costituire un rischio per la salute dei consumatori, ma è certo che rappresentano una seria minaccia per la biodiversità e introducono una pesante stortura economica, monopolizzando il mercato delle sementi e imponendo vincoli di brevetto sulla produzione del cibo, risorsa vitale che deve rimanere un bene comune, libero e condiviso.

Occorre dunque tutelare biodiversità, suoli e acque, dirottando i fondi verso pratiche agricole più rispettose dell’ambiente, sostenendo le produzioni tradizionali e di qualità in contrapposizione alla deriva industriale del settore e rispettando i piccoli produttori, i consumatori e gli ecosistemi.

Discorsi analoghi si potrebbero fare per produzione di energia, gestione delle risorse, mobilità. Ma questi temi fondamentali sembrano assenti o marginali nei programmi e nei discorsi delle formazioni politiche premiate dagli elettori, che evidentemente non ritengono prioritarie le questioni ambientali. Eppure, il nostro futuro, letteralmente e non per modo di dire, dipende proprio dalle nostre decisioni. Non solo da quelle prese nel segreto delle urne, ma soprattutto dai nostri stili di vita e comportamenti quotidiani.

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