L’Ucraina che verrà


Qualche tempo fa avevamo parlato dello strano caso di Vladimir Zelensky, il comico che si accingeva a diventare presidente dell’Ucraina. Riepiloghiamo brevemente la vicenda.

Dopo avere ideato e messo in onda dal 2015 la popolarissima serie TV “Il servo del popolo”, nella quale interpreta il ruolo di Vassily Goloborodko, un professore di liceo che inaspettatamente diventa presidente dell’Ucraina, Zelensky è passato senza soluzione di continuità dalla finzione scenica alla realtà, candidandosi alle elezioni presidenziali. La sua campagna elettorale è stata una cavalcata trionfale, da un lato grazie all’abilità comunicativa del suo staff di collaboratori, passati dalla sceneggiatura della trasmissione alla propaganda politica, dall’altro a causa della marcata disaffezione dell’elettorato nei confronti di una classe politica percepita come lontana dal popolo e corrotta. Il primo turno lo ha visto emergere con un consenso pari alla somma di quello dei suoi principali avversari. Poi al ballottaggio del 21 aprile scorso l’apoteosi, con Zelensky che trionfa con un debordante 73% contro il 25% ottenuto dal presidente uscente Petro Poroshenko.

E ora?

Ora il neo presidente dovrà confrontarsi con un carico di aspettative enorme, vista la situazione del Paese, afflitto da una pesante crisi economica, ma soprattutto coinvolto in un grave conflitto con la Russia, che ha occupato con la forza la Crimea e tuttora alimenta focolai di guerra nella provincia orientale del Donbass, fomentando le pulsioni separatiste presenti nella zona.

Ma a eccezione di quanto succede in questa limitata enclave, l’aggressività messa in campo da Mosca ha fatto evaporare ogni residua simpatia degli ucraini verso l’ingombrante vicino: anche l’ampia fetta di popolazione russofona ormai non prende più in considerazione la possibilità di alleanza con gli ex concittadini sovietici. Oggi lo sguardo è rivolto decisamente a Occidente, ma da questo a riuscire a entrare nell’UE e nella NATO – come da programma elettorale – ce ne corre. Ancora più complicato, se possibile, appare il conseguimento degli altri obiettivi dichiarati, tra cui la risoluzione della crisi economica, lo sradicamento della corruzione e, non ultimo, l’ottenimento della restituzione dei territori occupati dalla Russia, con annesso risarcimento per i danni di guerra.

Occorrerebbe una bacchetta magica o dei superpoteri, ma dubitiamo che il neo presidente li possieda, anche se non c’è dubbio che la sua vulcanica ascesa denoti capacità non comuni, specialmente sul lato comunicativo. Ma un conto è persuadere degli elettori esasperati a voltare pagina rispetto a una vecchia classe politica frusta e delegittimata, ben altro è convincere le cancellerie occidentali della propria capacità politica e, soprattutto, della propria affidabilità. L’esecutivo capeggiato da Zelensky rappresenta un grosso punto interrogativo per la diplomazia e al nuovo presidente occorreranno svariati incontri internazionali per acquisire credibilità. Senza dimenticare il fronte interno, ovvero il confronto con la classe oligarchica che, di fatto, controlla il Paese e che probabilmente non nutre grande simpatia per colui che, da comico, non ha mai perso occasione di metterla alla berlina nelle gag della serie televisiva che è servita da trampolino di lancio per la conquista della presidenza.

La genialità messa in campo in campagna elettorale, unita alla pochezza degli avversari, assolutamente impreparati nell’affrontare un competitore così fuori dagli schemi, hanno consentito una vittoria tanto incredibile quanto schiacciante. Ma la quotidiana gestione della macchina amministrativa è ben altra cosa, e l’abilità nella comunicazione, decisiva in fase elettorale, non è in grado da sola di garantire consenso, se manca incisività nell’azione politica. Insomma, per usare una metafora, si può buttare fumo negli occhi dei cittadini solo fino a un certo punto, poi se manca l’arrosto la gente inizia a sentire puzza di bruciato. E non si può fare affidamento solo sulla mancanza di alternative per mantenere il consenso.

A questo punto, potrebbe venire spontaneo un parallelo con quello che sta avvenendo dalle nostre parti, dove il movimento creato da un comico ha conquistato il potere al grido di “onestà”, alleandosi con una forza sovranista che osteggia l’Unione Europea con la stessa forza con cui l’Ucraina osteggia la Russia, nonostante la fondamentale differenza che noi non siamo stati invasi dall’UE, bensì ne siamo co-fondatori. Qui, la propaganda populista, incentrata principalmente sui “pericoli” dell’immigrazione, inizia a mostrare la corda, visto che i veri problemi del Paese restano insoluti. E sempre qui, un governo improbabile si regge soprattutto sulla mancanza di alternative, vista la disaffezione ancora ben presente nei confronti di chi ha governato prima.

Ma preferiamo distogliere lo sguardo dalle beghe di casa nostra per tornare a occuparci delle vicende ucraine, evidenziando un ultimo grande tema: l’influenza che questo rivolgimento può avere sulla vicina Russia.

Come già detto, la vittoria di Zelensky ha spazzato via ogni dubbio sul fatto che l’Ucraina ormai consideri sepolta ogni nostalgia sovietica e ritenga la propria indipendenza da Mosca un fatto storicamente acquisito. Il nuovo presidente – di origini ebraiche e di lingua russa – non ha avuto bisogno di utilizzare istanze nazionalistiche estreme come quelle cavalcate dal suo principale avversario, per compattare la nazione e vincere in maniera omogenea praticamente ovunque. E questo proprio perché la divisione politica fra filo-europei e filo-russi non esiste più, semplicemente perché questi ultimi sono di fatto scomparsi.

Un fattore che, appunto, può avere ripercussioni sulla stessa opinione pubblica russa. Vedere che i propri “cugini” ucraini di lingua russa scelgono, con libere elezioni, di mandare al governo un personaggio fuori dagli schemi, alieno da oligarchie e nomenclature, che senza indugio gira il timone verso Occidente, può instillare più di un dubbio a chi da anni vive sotto il regime putiniano, con una simulazione di democrazia che non convince nessuno. Non è dunque un caso se, fra i primi a gioire e congratularsi per la vittoria di Zelensky, c’era il leader dell’opposizione russa Alexey Navalny.

Infatti, nonostante la propaganda del Cremlino cerchi in ogni modo di sostenere che l’Ucraina ci ha rimesso sia politicamente, sia economicamente staccandosi da Mosca, queste elezioni mostrano chiaramente che il popolo ucraino la pensa diversamente e vede il proprio futuro legato all’Occidente. Uno strappo che potrebbe incrinare le certezze dei russi, minando le basi della granitica leadership di Putin. In quest’ottica, per le potenze occidentali sarebbe quindi strategico garantire appoggio al nuovo corso dell’Ucraina. Ma questa parte della sceneggiatura, nemmeno il geniale Zelensky l’ha ancora scritta.

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