La doppia anima di “Ariadne auf Naxos”

L’opera di Richard Strauss in scena al Teatro alla Scala nel nuovo allestimento del regista Frederic Wake-Walker, ma a convincere è soprattutto l’esecuzione musicale

Il nuovo allestimento di Ariadne auf Naxos di Richard Strauss in scena al Teatro alla Scala è curato da Frederic Wake-Walker, che già firmò a Milano delle Nozze di Figaro non certo memorabili, ma si poi riscattò portando sul palcoscenico scaligero l’allestimento de La finta giardiniera proveniente dal Festival di Glyndebourne. Premesso, a sua difesa, che mettere in scena Ariadne auf Naxos non sia impresa facile, per quella ben nota commistione fra il piano della commedia nel prologo e quello serio della rappresentazione per l’atto dell’opera, fra l’ironia realistica e la cornice mitologica, la cui alternanza creò problemi allo stesso compositore (nonostante il libretto, indiscutibilmente bellissimo, di Hugo von Hofmannsthal), Wake-Walker risolve il gioco del teatro nel teatro del prologo con leggerezza e ironia, utilizzando un grande salone viennese in stile rococò dove una compagnia di attori-saltimbanchi, strampalata e grossolana, indossa abiti moderni un po’ pop; tutti alloggiano e si cambiano in moderne roulotte preparandosi concitatamente alla messa in scena dell’opera attorno ad eleganti panche di velluto rosso. Più concettoso è l’atto dell’opera, con Ariadne assisa su una pedana circolare che si apre a valva, sulla quale è raggiunta da Bacco, che scende da una ripida scalinata. Tutto all’interno di un candido contenitore scenico dalle pareti che scorrono e girano su se stesse, sulle quali vengono proiettati video surreali dai colori accesissimi; alla lunga, dopo aver fatto indigestione visiva di forme geometriche in evoluzione continua e di cieli stellati multicolore prevale un senso di pressante noia e oppressione, che finisce per rovinare il finale riconducendolo ad una fredda astrazione caleidoscopica visiva priva di incanto.

Fortunatamente, all’opposto, l’esecuzione musicale si assesta su livelli di ottima qualità grazie alla raffinata bacchetta di Franz Welser-Möst, sensibile e attenta nel cogliere il passaggio dai toni della commedia alla sospensione tragica della scena conclusiva, alla quale viene donata un’accorta leggerezza e un abbandono colmo di poesia, seppur meno cosmico del dovuto nell’estenuata trasfigurazione del momento.  

La compagnia di canto è, almeno sulla carta, fra le migliori oggi immaginabili. C’è Krassimira Stoyanova, Ariadne, che già alla Scala si ricordava come ottima Marescialla nel Cavaliere della rosa di Strauss (anche in terreno verdiano è stata, nelle ultime stagioni, Elisabetta in Don Carlo e protagonista in Aida). La voce possiede lo stile e la capacità di sostenere le grandi arcate liriche con quella luminosa morbidezza, quasi incantata, adatta ad esprimere quel senso di lancinante malinconia che si può cogliere solo attraverso un’emissione capace di galleggiare sul fiato e di legare ad arte le frasi. Ariadne invoca la morte, ma tocca la materia tragica trasfigurandola in un denso lirismo, quasi straniante, come è nelle corde di questa cantante straussiana di gran classe.

Non si può negare neanche a Sabine Devieilhe, Zerbinetta, di possedere una spiccata musicalità, eppure per lei è opportuno aprire una breve parentesi. Cantante affermatissima in Francia, la Devieilhe (alla Scala si era già sentita come Blonde nel mozartiano Ratto dal serraglio) è un soprano che si inserisce a pieno diritto nella più alta tradizione francese dei soprani di coloratura, che hanno una loro specificità. Si è affermata nel barocco, in Mozart e poi nell’opéra-lyrique, in cui è stata una incantevole protagonista in Lakmé di Delibes e una delicata Ophélie in Hamlet di Thomas. Seppure sia una cantante di rango internazionale, con al suo attivo una discografia già importante, in lei non è tutto oro quello che luccica. Canta bene, anzi benissimo, è precisa e spiritosa sulla scena, con quel pizzico di eleganza che la aiuta a non rendere il personaggio troppo frivolo e soubrettistico, ma nella sua grande aria le manca lo slancio e quel giocare con la voce come un’equilibrista sul filo di una ebbrezza virtuosistica senza rete. Insomma, una prova interlocutoria, soprattutto se rapportata alle aspettative dettate dalla sua pur meritata notorietà.

Il Bacco del tenore Michael Koenig è sufficientemente solido se si commisura il rendimento alla difficoltà della parte. Ottimo, come sempre, Markus Werba, Un Maestro di musica, mentre Daniela Sindram, nei panni del Compositore, è efficace teatralmente ma non del tutto omogenea nell’emissione.

Funzionali i ruoli di contorno, per i quali vengono utilizzati anche alcuni allievi della Accademia della Scala, come per le parti di Un Ufficiale, Riccardo Della Sciucca, di Un Parrucchiere, Ramiro Maturana, di Un Lacchè, Hwan An, della Driade, Anna-Doris Capitelli, ma anche cantanti affermati che solitamente ricoprono ruoli protagonistici, come Joshua Whitener, Un Maestro di ballo, Thomas Tatzl, Arlecchino, Kresimir Spicer, Scaramuccio, Tobias Kehrer, Truffaldino, Pavel Kolgatin, Brighella, Christina Gansch, Najade e Regula Muehlemann, Eco.

Una menzione di merito va ad Alexander Pereira, che sostiene la parte solo recitata del Maggiordomo. Siccome è il Sovrintendente della Scala, le lodi che merita la sua interpretazione potrebbero sembrare dettate da pura adulazione. Invece non è così, perché quando entra in scena sa come attirare su di sé l’attenzione, recitando da attore consumato. Buon successo per tutti.

Foto Brescia & Amisano.

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