Manifesto per la sovranità costituzionale

Presentato nelle scorse settimane congiuntamente da Patria e Costituzione, Senso Comune e Rinascita, il manifesto per la Sovranità costituzionale. Principale artefice di questa proposta, che si muove nell’ambito, già ben affollato, della sinistra è Stefano Fassina, ex Pd oggi in Parlamento nelle fila di Liberi e Uguali. L’evento è stato praticamente snobbato dalla stampa forse più interessata a correre dietro alle intemerate di Matteo Salvini o alle contorsioni di Luigi di Maio, due leader che, troppo spesso, si comportano da uomini di partito più che da esponenti di governo. Eppure qualche attenzione, l’evento l’avrebbe meritata. E’ infatti da registrare l’interessante novità, per una formazione di sinistra, del recupero del termine patria, regalato impropriamente alla destra da decenni. Anzi addirittura da un secolo, visto che proprio il disprezzo dell’idea di patria da parte dei socialisti fu uno dei motivi di successo del fascismo, nato esattamente cento anni fa.

Siamo dunque di fronte a qualcosa di nuovo, in grado magari fornire qualche spunto originale alla sinistra nel nostro Paese. Il manifesto parla di un patriottismo senza derive nazionaliste, e intende rivitalizzare la sovranità popolare, difendere l’unità nazionale contro gli egoismi secessionisti; punta inoltre a valorizzare l’economia mista, tra supporto pubblico ed iniziativa privata, nonché a dare un forte impulso alla questione ambientale. La proposta si ispira, affermano i promotori, ai principi socialisti, a quelli del cristianesimo e dell’ecologismo. Difficile dire cosa sortirà da questa iniziativa che, forse, sarebbe meglio venisse calata sulla comune patria europea anziché volgere lo sguardo soltanto entro i confini nazionali.

Nessun dubbio comunque che la sinistra, in Italia e un po’ ovunque in Europa, se la passi male. Pare disorientata, priva di quella bussola che un tempo la aiutava a stare naturalmente dalla parte delle classi più deboli, a battersi per la giustizia sociale e l’uguaglianza. Basti pensare al Pd, architrave indiscutibile, di qualsiasi schieramento riformista che, a volte, pare proprio non riuscire a trovare il bandolo della matassa.

Un esempio di quanto si sta dicendo è proprio di queste settimane. In Parlamento si discute di reddito di cittadinanza e di quota 100 sulle pensioni e i democratici votano contro, senza se e senza ma, come farebbe un qualsiasi partito liberal-conservatore, Come può una forza di centro-sinistra opporsi in modo così draconiano a due misure che, comunque le si legga, hanno un’indubbia valenza sociale? Certo, può dirsi che sarebbe stato meglio impiegare queste risorse nelle infrastrutture o per favorire gli investimenti privati, ma nel momento in cui le due misure approdano in aula, tanto vale provare a correggerle per migliorarle, piuttosto che osteggiarle con tanta veemenza. Alla fine sarebbe stata sensata un’astensione, motivata dai tanti dubbi irrisolti ma anche con la consapevolezza che si tratta di provvedimenti a favore dei più deboli. Un po’ come quando il Pci si asteneva sulle riforme sociali della Dc, ritenute magari ancora timide o parziali, ma comunque meritevoli di attenzione.

Questo è un esempio, altri ce ne sarebbero (pensiamo alla rinuncia allo ius soli) a comprovare il fatto che a sinistra vi sia necessità di ritrovarsi. E allora ben venga qualcuno a smuovere un po’ le acque. D’altronde non è solo il Pd ad essere in difficoltà. Anche la sinistra più radicale – da Rifondazione comunista a Liberi e Uguali – pare incapace di elaborare un progetto credibile. Forse questo manifesto finirà anch’esso nel dimenticatoio, ma è anche possibile che possa rivelarsi un’incubatrice di idee, di proposte e di iniziative. Di certo la sinistra italiana va ricostruita e la strada è una sola: un grande partito riformatore basato sul lavoro, sui diritti sociali e sull’uguaglianza, saldamente ancorato all’Europa. A quel punto gli elettori giungeranno a frotte: si può starne certi.

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